Due imprenditori agricoli, di età compresa tra 35 e 45 anni, con legami familiari e origini turche e marocchine, sono stati accusati di reati legati all’intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro all’interno di una impresa agricola.

Sfruttamento in una impresa agricola: le accuse

Le accuse includono, tra le altre cose, diverse violazioni del contratto nazionale e delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Le forze dell’ordine hanno sequestrato beni per un valore di circa 200 mila euro, in quanto si ritiene che vi siano gravi indizi che queste persone abbiano sfruttato almeno 70 lavoratori, pagandoli mediamente 6 euro l’ora per turni di lavoro tra le 8 e le 10 ore al giorno. I lavoratori coinvolti sono stati impiegati in aziende agricole situate tra Grosseto, Siena, Arezzo e Perugia.

Una delle due persone finite nei guai è stata posta agli arresti domiciliari, mentre altre quattro hanno l’obbligo di presentazione all’autorità giudiziaria. Le condizioni igienico-sanitarie in cui i lavoratori erano costretti a lavorare erano estremamente precarie. Quasi tutti alloggiavano in un casolare fatiscente a Panicale – provincia di Perugia – pagando circa 150 euro per un posto letto. La somma in questione, secondo gli inquirenti, veniva arbitrariamente sottratta dalla già misera retribuzione percepita. Il tutto con metodo violento e forzoso.

Le indagini

Dalle indagini è emerso che i lavoratori partivano dal casolare a bordo di furgoni sovraffollati e, dopo lunghe trasferte, venivano portati nei campi senza alcun diritto riconosciuto. Niente pasi, ferie retribuite, riposo. Niente di niiente. Veniva loro negata la consegna del contratto e delle buste paga e venivano lasciati nell’ignoranza dei loro diritti connessi al rapporto di lavoro.

Falsi attestati sulla sicurezza sarebbero stati redatti da un’agenzia di Grosseto, presso cui sono stati denunciati la titolare del centro di formazione, due collaboratori esterni con funzione di docenti e un dipendente. Il sequestro complessivo eseguito dalle forze dell’ordine ha un valore equivalente di circa 230 mila euro ed è relativo a beni a carico della persona destinataria della misura cautelare dei domiciliari.