La scoperta è avvenuta alle prime luci dell’alba, durante quella che avrebbe dovuto essere una normale passeggiata lungo via del Cortone, sul versante sud del centro storico di Perugia. Un cittadino, transitando nel tratto che costeggia il complesso monumentale di San Domenico, ha notato alcune ossa riaffiorare dalla scarpata sottostante, proprio sotto il muraglione che sorregge l’Archivio di Stato e il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria.
I resti, riportati parzialmente alla luce da un recente smottamento, giacevano incastonati nel pendio che degrada verso gli arconi secolari dell’antico convento, confusi tra rovi, fogliame e detriti sedimentati nei decenni. A far notare l’anomalia è stato il cane dell’uomo che, fiutando insistentemente il terreno, si è fermato davanti a un punto da cui sporgevano alcuni frammenti scheletrici, appena distinguibili tra le zolle smosse.
A seguito della segnalazione, sono intervenute le forze dell'ordine, che hanno provveduto alla messa in sicurezza dell’area, alla delimitazione del perimetro e all’avvio dei primi accertamenti. Sul posto sono intervenuti anche gli operatori dell’agenzia di forestazione, incaricati di effettuare lo sfalcio della vegetazione e la rimozione di arbusti e rovi presenti sulla scarpata, al fine di consentire l’accesso in sicurezza al personale specializzato.
Gli esperti del Gabinetto provinciale della Polizia scientifica hanno quindi proceduto ai rilievi fotografici e planimetrici, al repertamento dei resti e alla raccolta dei campioni ossei, avviando la documentazione tecnico-probatoria del sito. Le operazioni si sono protratte per due giorni consecutivi, interessando sia il tratto di via del Cortone sia l’area sottostante la chiesa di San Domenico, in un contesto ambientale complesso, caratterizzato da una forte pendenza e da condizioni di instabilità del terreno.
Secondo quanto emerso dai primi riscontri, il riaffioramento delle ossa sarebbe stato favorito dalle intense precipitazioni registrate nei giorni precedenti. La pioggia, infiltrandosi nel terreno, avrebbe provocato un dilavamento superficiale dello strato di copertura, facendo emergere materiale osseo sepolto da tempo.
La conformazione del pendio, particolarmente impervia e soggetta a intensi fenomeni erosivi, avrebbe inoltre amplificato il processo, provocando lo spostamento e la dispersione di alcuni frammenti lungo la scarpata e complicandone significativamente l’individuazione e il recupero da parte degli esperti.
Nel corso delle operazioni di pulizia e messa in sicurezza dell’area sono emersi numerosi frammenti ossei, alcuni dei quali, secondo le prime valutazioni, riconducibili a più individui. La loro disposizione lungo il pendio e il marcato stato di conservazione lasciano ipotizzare che si tratti di reperti appartenenti a sepolture di notevole antichità.
Le ipotesi preliminari degli esperti indicano una possibile datazione risalente ad almeno due secoli fa, sebbene solo le analisi scientifiche successive potranno fornire indicazioni precise e circostanziate. Al momento non è stato possibile stabilire con certezza se tutti i resti siano di origine umana o se tra essi siano presenti frammenti di natura animale.
Tra le ipotesi al vaglio degli esperti vi è quella che collega i reperti all’esistenza, in epoca passata, di un’area di sepoltura annessa all’antico complesso domenicano. Come era prassi comune nei conventi e nei grandi edifici religiosi, erano presenti piccoli cimiteri destinati ai membri dell’ordine o, in alcuni casi, alla comunità circostante.
Con il trascorrere dei secoli, le trasformazioni urbanistiche e i lavori di consolidamento dei versanti avrebbero progressivamente cancellato le tracce visibili di queste sepolture, inglobandole sotto strati di terreno e materiali di riporto. Il riaffioramento odierno, favorito da fenomeni naturali, potrebbe rappresentare la riemersione accidentale di un sepolcreto storico dimenticato, offrendo agli archeologi e agli storici un prezioso e raro spunto di indagine sulla vita e le pratiche funerarie legate al convento.
I frammenti ossei recuperati sono stati imbustati secondo i protocolli previsti e trasferiti per essere sottoposti ad analisi antropologiche e forensi. Gli accertamenti consentiranno di chiarire la natura dei resti, confermare l’eventuale origine umana e determinare con precisione l’arco temporale di appartenenza mediante metodi scientifici di datazione.
Non si esclude che, nei prossimi giorni, possano essere coinvolti anche archeologi e storici, con l’obiettivo di inserire il ritrovamento nel contesto più ampio della storia del complesso di San Domenico e del territorio circostante, offrendo così una lettura più approfonditadel valore storico, culturale e sociale dei reperti.