L’omolesbobitransfobia è una parola formata dalla contrazione di omofobia, lesbofia, bisofia e transfobia, fenomeni gravi e ancora molto diffusi. Si tratta di un termine che racchiude tutte quelle forme di paura, avversione e discriminazione messe in atto nei confronti di altre persone a causa della loro identità di genere o identità sessuale. In Italia esiste una rete nazionale strutturata che si chiama Re.a.dy e che vede impegnati Regioni e Enti Locali nel prevenire e superare l’omolesbobitransfobia. Il Comune di Perugia è tornato a far parte di questa rete dopo quasi dieci anni di assenza.

L’impegno del Comune di Perugia contro l’omolesbobitransfobia

Nei giorni scorsi il Consiglio comunale ha approvato con 19 voti favorevoli e 7 contrari l’atto presentato dalla maggioranza per riattivare l’adesione del Comune di Perugia alla rete Re.a.dy. Il capogruppo del Partito Democratico e delegato alle Politiche LGBTQIA+ e antidiscriminazioni del Comune di Perugia, Lorenzo Ermenegildi Zurlo, primo firmatario della proposta, ha spiegato in cosa consiste.

Con questo atto – ha dichiarato Ermenegildi Zurlo – il Comune di Perugia torna ad essere parte attiva nella tutela dei diritti delle persone LGBTQIA+. La Re.a.dy offre alle amministrazioni locali uno spazio di condivisione e interscambio di buone prassi in tema di sensibilizzazione rispetto al mondo LGBTQIA+. Aspetti questi che l’Amministrazione comunale precedente aveva trascurato, tanto da portare alla sospensione dell’adesione del Comune per prolungata inattività”.

Un passo importante per l’amministrazione perugina che in sede istituzionale ribadisce il proprio impegno nel contrastare e prevenire tali fenomeni, di cui in passato lo stesso Ermenegildi Zurlo è stato vittima anche a ridosso di Umbria Pride.

Che cos’è la rete Re.a.dy

Re.a.dy è la Rete italiana delle Regioni, Province Autonome ed Enti Locali – così si legge nel sito – impegnati per prevenire, contrastare e superare le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, anche in chiave intersezionale con gli altri fattori di discriminazione – sesso, disabilità, origine etnica, orientamento religioso, età – riconosciuti dalla Costituzione, dal diritto comunitario e internazionale“.

Costituisce per le Pubbliche Amministrazioni regionali e locali l’opportunità di uno spazio non ideologico di incontro e interscambio di esperienze e buone prassi finalizzate al riconoscimento e alla promozione dei Diritti Umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender (LGBT). Re.a.dy coopera con le Istituzioni nazionali e internazionali, con le Associazioni e con altre reti territoriali al fine di promuovere sinergie, valorizzare le risorse esistenti, diffondere le azioni positive sul territorio italiano“.

Nel 2007 l’amministrazione comunale di Perugia aveva approvato la Carta d’Intenti per la costituzione della Rete Re.a.dy di cui aveva fatto parte fino al 2016. Dal 2017 l’adesione non era stata rinnovata. Nel 2020 la segreteria nazionale di Rete Re.a.dy aveva così avviato la procedura di sospensione per inattività per il Comune di Perugia, posto nella condizione di partner “inattivo” sul finire del 2021, così si legge nell’atto.

A Perugia per la prima volta la delega alle Politiche LGBTQIA+

Con l’insediamento della Giunta guidata da Vittoria Ferdinandi il cambio di passo nel Comune di Perugia è stato evidente anche con l’introduzione di deleghe che hanno fatto la loro comparsa per la prima volta. Come la delega all’Educazione alla pace e alla multiculturalità assegnata alla consigliera Lucia Maddoli, quella al Benessere psicologico per Federico De Salvo e infine, la già citata ‘delega arcobaleno‘ a Ermenegildi Zurlo, ex segretario di Omphalos Perugia.

Una delega, aveva commentato il consigliere e capogruppo del PD in Consiglio comunale, che ha riconosciuto “l’importanza di ricucire, anche in questo ambito, le profonde ferite che le amministrazioni della destra hanno aperto nel tessuto sociale della nostra città. Anche perché, aveva sottolineato, “le persone LGBTQIA+, del resto, vivono le stesse difficoltà del resto dei cittadini e delle cittadine, con l’aggiunta di una discriminazione sistemica che rende inutilmente più gravosa la costruzione di una prospettiva di vita felice.