La leucemia linfatica cronica (LLC) è la forma di leucemia più diffusa nei paesi occidentali. In alcuni casi, però, questa malattia può evolvere in una forma molto più aggressiva e resistente alle cure, nota come sindrome di Richter. Proprio su questa pericolosa trasformazione arriva una notizia importante: un gruppo di ricercatori dell’Università di Perugia, guidato dal professor Paolo Sportoletti, ha identificato un meccanismo molecolare chiave che spiega come la LLC si trasforma in sindrome di Richter.
Lo studio, pubblicato il 30 aprile 2025 sulla rivista internazionale Leukemia, rivela che la perdita di un particolare gene nelle cellule tumorali innesca una cascata di eventi che porta alla comparsa del linfoma aggressivo. La ricerca è stata condotta a Perugia con il sostegno della Fondazione AIRC e in collaborazione con l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
La sindrome di Richter è una complicanza rara ma estremamente grave della leucemia linfatica cronica. Consiste nella trasformazione della LLC in un linfoma a grandi cellule altamente maligno, spesso assimilabile a un linfoma di tipo diffuso a grandi cellule B. Clinicamente, questa evoluzione si manifesta con un rapido peggioramento: ingrossamento dei linfonodi, febbre, calo di peso, sudorazioni notturne e ingrossamento di fegato e milza possono comparire all’improvviso.
Purtroppo la prognosi per i pazienti colpiti dalla sindrome di Richter è molto sfavorevole: si tratta della complicanza più temibile della LLC, e la sopravvivenza media dopo la trasformazione è inferiore a un anno. Inoltre, questa forma resistente risponde poco ai trattamenti tradizionali come la chemioterapia, rendendo urgente lo sviluppo di terapie nuove e mirate.
Negli ultimi anni la ricerca ha identificato alcune alterazioni genetiche associate a un rischio maggiore di trasformazione, come le mutazioni del gene NOTCH1 (presenti in una quota di pazienti con LLC) o del gene TP53, ma i meccanismi precisi che guidano la progressione verso la sindrome di Richter rimanevano in gran parte sconosciuti. In questo contesto, la scoperta del team perugino offre finalmente nuove risposte su come e perché avviene questa trasformazione.
Gli scienziati dell’Università di Perugia hanno individuato un meccanismo molecolare fondamentale alla base della trasformazione della LLC in sindrome di Richter. In particolare, lo studio ha scoperto che la perdita del gene BCORfunge da innesco: senza la funzione di questo gene, viene attivata in maniera anomala una proteina chiamata NOTCH1, la quale a sua volta spinge la leucemia ad evolvere nella forma aggressiva. In altre parole, BCOR – che normalmente agisce da “freno” – quando viene disattivato permette a NOTCH1 (un importante regolatore della crescita cellulare) di iper-attivarsi.
Questa cascata genetica provoca nei linfociti leucemici un cambio di identità: da cellule tipiche della LLC diventano cellule tumorali da linfoma di Richter. Lo studio perugino ha anche evidenziato che tali alterazioni genetiche hanno effetti sull’ambiente circostante il tumore: la perdita di BCOR e l’attivazione di NOTCH1 determinano cambiamenti nel microambiente (ad esempio nelle cellule immunitarie vicine) che favoriscono la crescita e la proliferazione delle cellule maligne e le aiutano a sfuggire al controllo del sistema immunitario.
Questo duplice effetto – sia all’interno delle cellule tumorali che nel loro ambiente – spiega perché la sindrome di Richter sia così aggressiva e resistente. La scoperta chiarisce dunque uno dei processi chiave che portano alla trasformazione maligna, colmando un vuoto di conoscenza nel campo dell’ematologia.
Per arrivare a questi risultati, il professor Sportoletti e il suo team hanno utilizzato tecnologie avanzate di laboratorio e modelli preclinici. In particolare, i ricercatori hanno sviluppato un modello murino (ossia un modello animale di topo) che riproduce la leucemia linfatica cronica e consente di studiarne l’evoluzione. Attraverso tecniche di ingegneria genetica, hanno disattivato selettivamente il gene Bcor nei linfociti B dei topi affetti da LLC, simulando così la perdita di BCOR osservata in alcuni pazienti. I risultati sono stati immediati: l’assenza di Bcor nei topi ha provocato alterazioni nel compartimento dei linfociti B e ha favorito la progressione della leucemia verso un linfoma aggressivo, riducendo drasticamente la sopravvivenza degli animali.
In parallelo, gli scienziati hanno eseguito analisi molecolari approfondite (come il sequenziamento dell’RNA delle cellule tumorali) per confrontare le cellule leucemiche prima e dopo la trasformazione: è emerso un profilo genetico nei topi Bcor-deficienti molto simile a quello della sindrome di Richter umana, con evidenza del coinvolgimento delle cellule T del microambiente tumorale.
Un altro passo fondamentale della ricerca è stato l’esperimento terapeutico condotto sui topi: i ricercatori hanno somministrato agli animali un farmaco in grado di inibire la proteina NOTCH1, per verificare se bloccare questa via molecolare potesse fermare o rallentare la malattia. I risultati sono stati incoraggianti: il trattamento ha portato a una significativa riduzione delle cellule tumoralinel modello preclinico e, cosa ancor più importante, ha migliorato la sopravvivenza dei topi affetti, segno che intervenire su NOTCH1 può effettivamente rallentare la progressione verso il linfoma. L’insieme di queste metodologie – dalla creazione di modelli animali specifici, alle analisi genetiche ad alta tecnologia, fino ai test farmacologici – ha permesso di dimostrare in modo completo il ruolo causale di BCOR e NOTCH1 nella trasformazione di Richter.
La scoperta di questo meccanismo apre scenari promettenti per il trattamento e la gestione clinica della sindrome di Richter. Identificare un “punto debole” delle cellule leucemiche significa infatti avere un nuovo bersaglio su cui sviluppare terapie mirate. In questo caso, la catena BCOR-NOTCH1 rappresenta un percorso molecolare che potrebbe essere bloccato farmacologicamente.
Lo studio di Perugia dimostra in principio che inibire NOTCH1 può ridurre l’aggressività del tumore nei modelli preclinici. Ciò suggerisce che, in futuro, farmaci diretti contro la via di segnalazione di Notch1 (o capaci di compensare la perdita di BCOR) potrebbero prevenire la trasformazione di Richter nei pazienti ad alto rischio o trattare più efficacemente questa complicanza.
Attualmente, i pazienti con LLC vengono già sottoposti ad esami genetici per identificare mutazioni associate a prognosi sfavorevoli (come TP53 o NOTCH1); grazie a queste nuove conoscenze, BCOR potrebbe aggiungersi alla lista dei marcatori da monitorare. Un paziente con leucemia linfatica cronica che presentasse una mutazione o perdita di BCOR potrebbe essere seguito con maggior attenzione e, in prospettiva, trattato precocemente con terapie mirate per scongiurare la progressione.
Inoltre, il nuovo modello animale sviluppato dal team perugino costituisce una piattaforma preziosa per testare potenziali farmaci anti-Richter in condizioni sperimentali prima di passarli alla clinica. In sintesi, questa ricerca fornisce sia un obiettivo terapeutico concreto sia uno strumento per accelerare lo sviluppo di strategie di cura contro una malattia finora priva di trattamenti efficaci.