La scadenza del 9 settembre segna un passaggio critico per decine di aziende umbre e centinaia di imprese italiane della fornitura sanitaria. Senza un rinvio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, scatterà l’obbligo di versamento previsto dal meccanismo del payback sui dispositivi medici. La misura, nata per compensare gli sforamenti dei tetti di spesa regionali, rischia ora di trasformarsi in una vera e propria stangata: imprese sotto pressione, posti di lavoro a rischio e forniture essenziali che potrebbero non essere più garantite.
A lanciare l’allarme è stata Asfo Umbria Confcommercio, che in una nota parla di “esborso insostenibile per le piccole aziende, che rappresentano il 95% del comparto”. Da qui la richiesta di un incontro urgente alla GovernatriceStefania Proietti, già finita al centro del confronto politico sulla sanità regionale.
Il presidente di Asfo Umbria, Paolo Palombi, non nasconde la gravità del momento: “Le soluzioni prospettate non più di qualche mese fa in sede di trattativa presso il MEF sono state completamente disattese. L’esborso generalizzato è insostenibile per moltissime piccole aziende, mettendo a rischio la loro sopravvivenza, la salvaguardia dei posti di lavoro e, cosa ancora più importante, le forniture stesse”.
La tensione tra imprese e istituzioni non è nuova. Negli ultimi anni il provvedimento è stato oggetto di ricorsi al Tar e alla Corte Costituzionale, senza che venisse mai riconosciuta l’illegittimità della norma. Le associazioni di settore avevano chiesto correttivi concreti: una franchigia di 5 milioni e la possibilità di dilazionare i pagamenti. Entrambe le proposte sono state respinte dal Governo, lasciando le imprese davanti a un muro.
Le difficoltà finanziarie sono aggravate dai tempi tecnici. Come sottolinea Palombi, “la norma che consente l’accesso ai finanziamenti garantiti è entrata in vigore solo il 10 agosto, con relativo aggravarsi della situazione a causa della chiusura estiva di molti istituti di credito”. Una beffa che rischia di togliere ossigeno proprio quando la liquidità sarebbe indispensabile.
L’allarme degli imprenditori non riguarda soltanto il destino delle aziende, ma anche l’impatto diretto sui cittadini. In caso di chiusure o ridimensionamenti, potrebbero saltare forniture essenziali: dalle garze ai dispositivi salvavita, passando per una lunga serie di materiali ospedalieri.
Palombi avverte: “Se tante aziende saranno costrette a chiudere, chi li fornirà nei tempi giusti? E soprattutto a che prezzo, e con quale aggravio della spesa sanitaria, se il mercato diventasse, come è facile che sia, monopolio di poche grandi aziende e di multinazionali?”.
Lo scenario preoccupa anche per le ricadute future: minore concorrenza, prezzi più alti e un sistema sanitario ulteriormente appesantito nei costi. Per questo Asfo chiede almeno un margine di flessibilità: il posticipo della scadenza e l’applicazione rigorosa della sentenza della Corte Costituzionale, che limita al 25% l’importo dei rimborsi richiesti. “Una diversa applicazione - conclude Palombi-si tradurrebbe in un'ulteriore ingiustificata penalizzazione per il nostro settore”.
Il tema del payback sanitario non è soltanto tecnico-finanziario, ma anche politico. La governatrice Proietti aveva motivato la stretta fiscale con la necessità di colmare un presunto “buco” nei conti della sanità regionale, eredità - secondo la sua lettura - delle passata gestione. Una tesi respinta con forza dal centrodestra, che ha accusato l’attuale esecutivo di scaricare sui cittadini responsabilità non loro, aggravando una situazione già complessa. Anzi, secondo il centrodestra, proprio i 34 milioni del payback sanitario rinviato ormai da anni avrebbero consentito ai conti della Regione di passare dal rosso del deficit strutturale al nero di un lieve utile.
Oggi, con la scadenza alle porte, lo scontro si riapre in un clima di incertezza. Da un lato le imprese chiedono respiro, dall’altro la Regione si trova a dover garantire equilibrio di bilancio. Sullo sfondo, il rischio concreto che il costo della disputa cada non solo sulle aziende, ma sull’intera collettività umbra.