Durante la quarta giornata del Festival del Medioevo di Gubbio, Francesco Guccini, uno dei più grandi cantautori italiani, è stato insignito della “patente di matto onorario”. L’onorificenza, conferita dal presidente del Maggio Eugubino, Marco Cancellotti, celebra il contributo inestimabile dell’artista alla cultura italiana e il suo legame particolare con la città umbra. L’evento, caratterizzato da una folta partecipazione di pubblico, ha visto il direttore del festival, Federico Fioravanti, elogiare la carriera di Guccini, definendo l’onorificenza come un “elogio alla poesia di un grande artista”.

La “patente di matto” è una tradizione storica di Gubbio, città ricca di leggende e folklore. Secondo l’usanza, chi compie tre giri in senso antiorario intorno alla Fontana del Bargello ottiene simbolicamente il titolo di “matto di Gubbio”. Questo riconoscimento non è un’offesa, ma un onore che celebra l’originalità, la creatività e l’indipendenza di pensiero, qualità che Francesco Guccini incarna pienamente nella sua lunga carriera artistica.

Ricevendo la patente, Guccini è entrato a far parte di una cerchia speciale di personalità che hanno lasciato un segno indelebile nella cultura italiana. Federico Fioravanti, nel consegnare l’onorificenza, ha sottolineato come l’artista abbia saputo dare voce ai sentimenti di intere generazioni, attraverso parole che sono diventate poesia e musica che è diventata colonna sonora della vita di molti”.

La Patente di matto onorario di Gubbio per l’originalità e la creatività dell’artista

Durante il suo intervento, Guccini ha condiviso con il pubblico alcuni ricordi personali della sua infanzia a Modena, descrivendola come una “piccola città chiusa e bigotta”. Con la sua inconfondibile ironia e profondità, ha raccontato le difficoltà economiche vissute in quel periodo, sottolineando come “i tortellini si mangiavano una volta all’anno”. Queste esperienze hanno segnato profondamente la sua poetica, spesso intrisa di nostalgia e di riflessioni sul tempo che passa.

“La mia Modena era fatta di strade strette e di un senso di comunità forte, ma anche di limitazioni e di sguardi giudicanti”, ha confessato l’artista. “Forse è da lì che nasce la mia voglia di raccontare storie vere, di dare voce a chi non ne ha”.

Il legame tra Francesco Guccini e il Medioevo emerge in modo particolare nella sua canzone “Canzone dei dodici mesi”, tratta dall’album “Radici” del 1972. L’artista ha rivelato che l’ispirazione per questo brano è venuta dai bassorilievi presenti nel Duomo di Modena, che raffigurano le attività agricole e i mesi dell’anno, tipici dell’iconografia medievale.

“Il Medioevo mi ha sempre affascinato per la sua complessità e per le sue contraddizioni”, ha spiegato Guccini. Nei bassorilievi del Duomo vedevo rappresentata la ciclicità della vita, il legame profondo tra l’uomo e la natura“.

La giornata del festival non è stata solo un tributo a Guccini, ma anche un’occasione per approfondire vari aspetti del Medioevo.

Numerosi studiosi si sono cimentati in argomenti spesso sconosciuti legati al medioevo

Franco Francheschi ha voluto sfatare diversi miti legati al linguaggio e alle abitudini medievali, sottolineando come alcune pratiche odierne siano spesso etichettate in modo improprio come “medievali”. Ha citato esempi come la chiusura domenicale dei negozi e il gioco difensivo del calcio “catenaccio”, evidenziando come tali associazioni siano frutto di stereotipi piuttosto che di realtà storica.

La storica dell’arte Virtus Zallot ha offerto una riflessione sulla “luce celeste” nel Medioevo, descrivendola come simbolo della presenza divina. Secondo Zallot, la luce era utilizzata come un veicolo per manifestare il divino, un concetto che connette il mondo terreno con quello spirituale. “Nelle cattedrali gotiche, la luce filtrava attraverso le vetrate colorate, creando un ambiente mistico che avvicinava i fedeli al trascendente, ha spiegato.

Un altro contributo significativo è stato quello di Beatrice De Bo, che ha approfondito temi come i veleni e gli antidoti nel Medioevo. De Bo ha spiegato come la credenza diffusa sull’uso del corno di unicorno—in realtà un dente di narvalo—come antidoto fosse comune in quel periodo. “Queste storie riflettono le paure e le speranze dell’uomo medievale, che cercava di dare un senso al mondo attraverso simboli e miti”, ha affermato De Bo.

Presentato il volume “Gubbio nel Medioevo: dieci secoli della Città di Pietra”

Durante la giornata, Massimo Oldoni ha presentato una sua ricerca sui nomi dei ladroni crocifissi accanto a Cristo. Ha osservato come i nomi Gisman e Disman nei crocifissi montani dell’area italo-tedesca derivino da “destra” e “sinistra” nel dialetto dello Schleswig-Holstein.

In un altro intervento, Serena Romano ha coinvolto il pubblico parlando del pittore Giotto, richiamando alla mente i ricordi d’infanzia in cui il suo nome era spesso associato a una scatola di pastelli. “Giotto non è solo un nome su una confezione di colori, ma un rivoluzionario dell’arte che ha saputo rompere con le convenzioni del suo tempo”.

A concludere la giornata, un focus speciale ha visto la presentazione del volume “Gubbio nel Medioevo: dieci secoli della Città di Pietra”, con la partecipazione di numerosi esperti e studiosi della storia locale eugubina.