Un atto amministrativo, una firma su una delibera, e venti ettari di storia e biodiversità hanno trovato la loro salvezza. A Giove, in provincia di Terni, il Bosco della Bandita non è più solo un’antica distesa di cerri e farnetti monumentali. Da oggi, per volontà del Consiglio comunale, è ufficialmente un Parco Naturale Protetto. Una scelta che trasforma una battaglia dal basso, condotta da cittadini, botanici e un’amministrazione locale sensibile, in un presidio concreto di tutela. Una vittoria che non chiude un capitolo, ma ne apre uno nuovo, ambizioso e replicabile: fare di questo scrigno naturale umbro un laboratorio di conservazione, educazione e turismo sostenibile.
Il percorso, culminato con la delibera comunale del Comune di Giove guidato dal sindaco Marco Morresi, è un esempio raro di governance ambientale. Non un’imposizione dall’alto, ma un processo nato dall’alleanza tra la pubblica amministrazione e una comunità che ha riconosciuto nel proprio bosco un bene comune inestimabile. Nella porzione di bosco di proprietà privata, i proprietari hanno fatto una scelta etica, sospendendo ogni intervento selvicolturale. Un passo fondamentale, che ha permesso di disegnare una tutela unitaria per l’intera area.

Il valore del Bosco della Bandita non è una semplice suggestione paesaggistica. È un dato scientifico, certificato da studi approfonditi. Come spiega il professor Alessandro Bottacci, che ha redatto una relazione cruciale per il progetto, si tratta di un ecosistema integro e profondamente interconnesso. “La sua importanza risiede nella bio-complessità forestale”, sottolinea Bottacci. “Qui troviamo cerrete monumentali e, elemento di straordinaria rilevanza, una stazione di Farnetto (Quercus frainetto), specie rara a rischio a livello globale, relitto dei boschi originari dell’Umbria. Proteggere un luogo simile significa preservare un laboratorio vivente di biodiversità, con ricadute positive sul ciclo dell’acqua, la stabilità dei suoli e la qualità dell’aria”.
Una visione condivisa dal mondo scientifico e associativo. Luca Santini, presidente di Federparchi, ha riconosciuto nell’iniziativa “un esempio virtuoso di tutela territoriale”. Mentre il professor Bartolomeo Schirone e il professor Francesco Spada, della Società Italiana di Restauro Forestale (SIRF), hanno rimarcato come ecosistemi forestali complessi come la Bandita siano “patrimoni naturali dal valore inestimabile”.
Il bosco non è solo natura. È anche storia. Nei suoi confini si nascondono i resti di un’ara romana presso la sorgente di Capita, testimone di un antico culto delle acque, e i siti di tre mulini, per secoli centri di vita sociale ed economica, ora avvolti dal silenzio e dalla vegetazione, in attesa di una nuova valorizzazione.

La delibera comunale non è un punto di arrivo, ma la pietra fondante di un cammino più lungo. Parallelamente al riconoscimento formale, sta infatti prendendo vita l’Associazione della Bandita. Un soggetto trasversale che riunisce cittadini, esperti di botanica e forestazione, rappresentanti del mondo scientifico, istituzioni locali ed enti nazionali. La sua missione è tradurre la tutela in un progetto attivo e sostenibile.
“L’obiettivo”, spiegano i promotori, “è elaborare un piano di gestione condiviso che faccia della Bandita uno spazio vivo, non una reliquia isolata. Vogliamo che sia un luogo da conoscere, rispettare e, in modo sostenibile, godere”. Il lavoro si concentrerà su tre assi principali: la conservazione attiva della biodiversità, la progettazione di un’offerta di turismo sostenibile e l’educazione ambientale per scuole e visitatori. Un modello che punta a generare benefici per la comunità, trasformando la protezione in una risorsa culturale ed economica.

Il sindaco Marco Morresi definisce la delibera “un atto di grande responsabilità istituzionale”. “Abbiamo riconosciuto il Bosco della Bandita come bene comune dal valore ecologico, culturale, storico ed economico”, afferma. “Ora la sfida è costruire, insieme all’Associazione e a tutti i portatori di interesse, il suo futuro. Questo progetto dimostra che quando cittadini e istituzioni camminano nella stessa direzione, è possibile proteggere il proprio territorio creando al contempo nuove prospettive”.
In un’epoca di consumo del suolo e di semplificazione degli ecosistemi, Giove ha scelto di custodire la complessità. Ha scelto di restituire centralità al tempo lento della natura, affidando a un bosco antico il compito di indicare una strada possibile. Quella del Bosco della Bandita di Giove diventa così una storia da manuale: un caso studio che dimostra come la tutela del patrimonio naturale possa essere il frutto maturo di una comunità coesa, di una politica illuminata e di una scienza che sa parlare alla collettività. Un modello per l’Umbria e non solo, che guarda al futuro dall’alto dei suoi alberi secolari.