"Un pontificato breve, ma un'eredità duratura": così potrebbe essere riassunta la parabola di Papa Marcello II, nato Marcello Cervini degli Spannocchi il 6 maggio 1501 a Montefano, nelle Marche. Uomo di profonda cultura e integrità morale, Cervini è una figura che ha lasciato un'impronta significativa nella Chiesa cattolica, nonostante il suo pontificato sia durato solo 22 giorni.
Proveniente da una nobile famiglia toscana originaria di Montepulciano, Cervini ricevette un'élite educazione umanistica: greco, latino, matematica e astronomia studiati a Siena e Firenze. La sua erudizione lo portò presto alla corte papale, dove servì come segretario del cardinale Alessandro Farnese, nipote di Papa Paolo III. Elevato a cardinale nel 1539, partecipò a missioni diplomatiche di rilievo presso Carlo V e Francesco I di Francia. Fu anche tra i tre legati pontifici al Concilio di Trento, dove sostenne la riforma e le prerogative pontificie.
Nel 1544 fu nominato vescovo di Gubbio, incarico che mantenne fino al 1555. Durante l'episcopato eugubino, si distinse per un'intensa attività riformatrice: riorganizzò il capitolo della cattedrale, istituì un archivio e promosse la costruzione del seminario (che vide la luce nel 1601), riformò la disciplina del clero e introdusse nuove norme liturgiche. Un periodo che coincise con un vero e proprio rinnovamento della vita religiosa cittadina.
Alla morte di Giulio III, Cervini era ancora a Gubbio. Il conclave si aprì il 6 aprile 1555 e si chiuse il 9 aprile con la sua elezione. Scelse di mantenere il proprio nome battesimale, diventando Marcello II, l'ultimo papa a farlo.
"Rifiutò il nepotismo, ridusse le spese della corte, partecipò personalmente alle celebrazioni della Settimana Santa e promosse l'austerità nella Chiesa", scrissero i contemporanei.
Purtroppo, il 30 aprile fu colpito da un ictus e morì il giorno seguente, il 1º maggio 1555, pochi giorni prima del suo 54º compleanno. Fu sepolto nelle grotte vaticane, in un semplice sarcofago paleocristiano, come da suo desiderio.
Nonostante la brevissima durata del pontificato, la memoria di Marcello II sopravvive grazie a gesti e opere durature. Il compositore Palestrina gli dedicò la celebre Missa Papae Marcelli, considerata una delle più alte espressioni della musica sacra rinascimentale.
Durante il suo incarico come Bibliotecario Apostolico, arricchì la Biblioteca Vaticana con manoscritti latini, greci ed ebraici, consolidando il patrimonio intellettuale della Chiesa.
Tra le reliquie più preziose associate a Marcello II, spicca un piviale di manifattura fiamminga del XV secolo, conservato nel Museo Diocesano di Gubbio. Questo paramento liturgico, in lamina d'oro e seta policroma, è decorato con scene della Passione di Cristo e rappresenta un'opera di rara bellezza e valore.
Il 13 aprile 1990, durante la Processione del Cristo Morto, ignoti trafugarono tre scene laterali del piviale, accuratamente ritagliate. Un furto su commissione, secondo le indagini, per via della precisione chirurgica con cui furono asportate le porzioni del tessuto sacro.
"Una perdita enorme, non solo per il Museo Diocesano, ma per l'intera comunità di Gubbio e per il patrimonio culturale italiano", affermarono all'epoca i responsabili della curia.
Da allora, il piviale è esposto privo delle sue parti rubate, mentre le autorità e il Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale continuano la ricerca delle parti trafugate.
Il piviale non è solo un oggetto museale. La sua associazione con Marcello II, la sua presenza in una delle più sentite processioni religiose di Gubbio, lo hanno reso un simbolo identitario. Il furto ha avuto un impatto emotivo forte sulla città, e ancora oggi se ne ricorda con dolore la sparizione.
"Ci auguriamo che le parti mancanti possano essere ritrovate e che il piviale torni alla sua integrità, restituendo a Gubbio un pezzo della sua anima storica e spirituale", ha dichiarato recentemente il direttore del Museo.
La memoria di Papa Marcello II sopravvive non solo nelle pagine della storia ecclesiastica, ma nei dettagli di un piviale mutilato, nella musica sacra che porta il suo nome, e nelle riforme avviate in una città umbra che, per undici anni, poté contare su un vescovo dal cuore illuminato.
"Chi sa quali frutti avrebbe portato un pontificato più lungo", si chiesero in molti dopo la sua morte. Ma forse, proprio nella sua brevissima apparizione, nella sua testimonianza sobria e incisiva, si racchiude tutto il valore di un uomo che fece della Chiesa una casa di giustizia e cultura.