10 May, 2025 - 12:05

Papa Leone XIV ha la "patente da matto" di Gubbio. Proprio così! Lo dice anche San Paolo: “se siamo pazzi, lo siamo per Dio”

Papa Leone XIV ha la "patente da matto" di Gubbio. Proprio così! Lo dice anche San Paolo: “se siamo pazzi, lo siamo per Dio”

Era la prima metà degli anni Ottanta, in un’Italia che ancora si muoveva a ritmi lenti e ferroviari, quando un giovane studente agostiniano americano, allora poco più che trentenne, decise di intraprendere un piccolo viaggio fuori porta. Il suo nome era Robert Francis Prevost, originario di Chicago, residente a Roma presso il Collegio Santa Monica, il cuore pulsante della formazione agostiniana internazionale. Oggi, il mondo lo conosce come Papa Leone XIV. Ma all’epoca, era semplicemente "Fratello Robert", con il volto curioso e aperto di chi ha appena intrapreso il cammino della vita religiosa, affamato di esperienze, incontri e – perché no – anche un po’ di follia.

Una delle sue tappe fu proprio Gubbio, la città di San Francesco e del Lupo, la città delle pietre grigie e delle corse folli dei Ceri, la città dove ancora oggi resiste una tradizione unica al mondo: la "patente da matto".

Un gruppo di studenti felici di scoprire cose nuove

Lo ha raccontato con affetto e un sorriso nella voce padre Giuseppe Pagano, oggi a Firenze nel convento agostiniano di Santo Spirito, ma che in quegli anni condivideva studio e vocazione con Prevost. Ai microfoni di Rai Radio Due, Pagano ha ricordato quel giorno con la chiarezza di un ricordo felice che torna a galla come una cartolina dal passato.

Erano in quattro o cinque, tutti studenti agostiniani provenienti da diversi Paesi, accomunati dalla stessa fede e dallo stesso entusiasmo. Scesero alla stazione di Fossato di Vico, zaini in spalla e scarpe comode. Gubbio, allora come oggi, appariva ai visitatori con la sua aria rarefatta, il profumo della pietra antica e delle botteghe, il passo lento dei borghi umbri. Ma quel giorno, ad attenderli, c’era anche qualcosa di speciale.

La Fontana del Bargello e i tre giri per laurearsi Matto di Gubbio

Non si può andare a Gubbio senza passare per la fontana del Bargello. È lì che si celebra il rito iniziatico più singolare dell’Umbria: tre giri in senso antiorario intorno alla fontana, e via, si diventa "matti", ma in senso buono, nel senso gioioso e un po’ goliardico di chi sa lasciarsi andare alla meraviglia e al gioco. Un custode della tradizione — il “console dei matti” — rilascia una vera e propria "patente", firmata e timbrata, che attesta l’avvenuta conversione alla sana follia eugubina.

Robert Prevost non solo partecipò con entusiasmo al rito, ma lo fece con quella disponibilità al sorriso e al contatto umano che lo ha sempre contraddistinto. Non è difficile immaginarselo, oggi che veste i panni bianchi del Pontefice, mentre corre intorno alla fontana con la tonaca nera svolazzante e gli amici che ridono e gridano. A quel tempo non pensava certo al pontificato. Forse nemmeno al vescovado. Pensava solo a vivere pienamente ogni frammento di vocazione, di cultura, di italianità.

E fu così che il futuro Papa Leone XIV ricevette, ufficialmente, la patente da matto di Gubbio. Una delle più autentiche e universali benemerenze che la città possa offrire. Un documento che oggi, chissà, potrebbe persino trovarsi conservato da qualche parte nei faldoni vaticani o in un cassetto dimenticato di un convento.

Al ritorno sbagliarono treno e andarono verso Ancona

Ma l’aneddoto non finisce qui.

Perché, dopo una giornata trascorsa tra vicoli, piazze e risate, i giovani agostiniani raggiunsero la stazione di Fossato di Vico per rientrare a Roma. Una volta arrivati sul binario, evidentemente stanchi o forse ancora un po’ troppo "mattti", salirono sul treno sbagliato. Invece di tornare verso la Capitale, finirono diretti verso Ancona, costretti a scendere alla prima occasione utile per tornare indietro. Un errore che oggi potrebbe sembrare banale, ma che negli anni Ottanta – senza cellulari, GPS e app di orari – significava perdere ore, fare chilometri inutili, e forse affrontare anche qualche benevola lavata di capo da parte dei superiori.

Padre Giuseppe sorride ancora a quel ricordo: "Non era arrabbiato, anzi… Robert la prese con filosofia. Era parte del viaggio, della scoperta. Era così: sempre pronto a vedere il lato positivo delle cose".

Oggi che Robert Francis Prevost è salito al soglio di Pietro con il nome di Leone XIV, quell’episodio riemerge con forza simbolica. Perché la "patente da matto" ricevuta a Gubbio non è solo un aneddoto folkloristico, ma quasi una prefigurazione del suo stile pastorale. Un pontefice che sa ridere, che ama l’incontro diretto, lo stupore, la semplicità. Un Papa che ha sperimentato, nel cuore dell’Umbria, cosa significa mettersi in gioco, accettare l’imprevisto, e persino sbagliare treno con il sorriso.

Molti eugubini, oggi, custodiscono con orgoglio quella notizia. Qualcuno giura di ricordarlo, magro e distinto, con lo sguardo attento ma sereno. La sua "follia" giovanile si è trasformata in una sapienza mite, in una capacità di ascolto che affonda le radici proprio in quell’esperienza di comunità e di umanità vissuta senza maschere.

"Se siamo pazzi lo siamo per Dio"

Chissà se, un giorno, Leone XIV tornerà a Gubbio da Papa. I cittadini sarebbero pronti ad accoglierlo con affetto, a mostrargli la fontana del Bargello, magari a fargli ripetere i tre giri — questa volta in papamobile. E magari lui stesso tirerà fuori dal cassetto quella patente un po’ stropicciata, timbrata e firmata, che certifica non solo la sua appartenenza onoraria alla città, ma anche la sua capacità di essere, in senso evangelico, un "folle per Cristo".

Perché alla fine, come scrive San Paolo, “se siamo pazzi, lo siamo per Dio” (2 Cor 5,13). E in un mondo che ha perso il senso dell’umorismo e del mistero, un Papa con la patente da matto può davvero essere ciò di cui abbiamo più bisogno.

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Mario Farneti
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