Una svolta cruciale nel caso dell’omicidio di Ilaria Sula, la studentessa umbra di 22 anni uccisa a Roma dal suo ex fidanzato Mark Samson. Gli investigatori hanno finalmente ritrovato il telefono cellulare della vittima, nascosto proprio nella stanza di Samson, gettando nuova luce sull’inchiesta e sui tentativi di depistaggio messi in atto dall’omicida.
Fin dal giorno del delitto, uno dei misteri irrisolti era la scomparsa del cellulare di Ilaria Sula. Dopo l’omicidio avvenuto il 26 marzo scorso – quando la giovane è stata accoltellata a morte e il suo corpo chiuso in una valigia poi abbandonata in un dirupo – del telefonino della vittima si erano perse le tracce. Mark Samson inizialmente aveva dichiarato agli inquirenti di aver inviato alcuni messaggi dal telefono di Ilaria per fingersi lei e poi di essersi disfatto del dispositivo gettandolo in un tombino.
Questa versione si è però rivelata falsa: nelle ultime settimane, pressato dalle evidenze, Samson ha cambiato racconto e ha confessato di aver consegnato il cellulare a sua madre, che lo avrebbe nascosto in casa.
Proprio grazie alle nuove informazioni fornite dal ragazzo durante la sua confessione assistita dai legali, la Squadra Mobile di Roma è riuscita a rintracciare il telefono. Il dispositivo si trovava nell’appartamento di via Homs (quartiere Africano), luogo in cui è avvenuto il femminicidio. Una volta localizzato, il cellulare è stato recuperato e posto sotto sequestro dagli investigatori. I magistrati di piazzale Clodio – che contestano a Mark Samson, oltre all’omicidio, anche il reato di occultamento di cadavere – hanno già disposto una copia forense del telefono per analizzarne il contenuto. Gli inquirenti sperano che dai dati del dispositivo emergano ulteriori elementi di verità, in grado di chiarire definitivamente la dinamica dei fatti e i tentativi di depistaggio seguiti al delitto.
Mark Samson, 24 anni, è stato arrestato il 2 aprile a Roma con l’accusa di aver ucciso Ilaria Sula, sua ex compagna, ed è un reo confesso. Oltre all’omicidio, gli vengono contestati i reati di soppressione di cadavere e depistaggio, per aver cercato di occultare le prove e fuorviare le indagini. Dopo il delitto, infatti, Samson ha messo in atto un elaborato tentativo di insabbiare la vicenda: utilizzando il cellulare di Ilaria, ha inviato messaggi a parenti e amici della ragazza spacciandosi per lei, nel tentativo di far credere che fosse ancora viva e che si fosse allontanata volontariamente.
In uno di questi messaggi, inviato all’amica del cuore di Ilaria, l’omicida fingeva che la vittima avesse incontrato per caso un nuovo ragazzo e stesse per partire con lui, arrivando persino a inviare la foto di uno sconosciuto palestrato per rendere la messinscena più credibile. La migliore amica, Maria Sofia Lombardo, insospettita dallo strano tono delle chat, non ha creduto a quelle bugie – “Non mi fido” avrebbe scritto nei suoi messaggi di risposta – e si è subito attivata come testimone chiave, contribuendo a smascherare il depistaggio.
Col proseguire delle indagini, sono emersi ulteriori dettagli inquietanti. Samson, messo alle strette, ha scritto di suo pugno una lettera in cui ha ammesso le proprie responsabilità e, su consiglio dei suoi avvocati, ha iniziato a collaborare con la Procura. È emerso così il ruolo della madre nell’occultamento del telefono: sarebbe stata lei, stando alla nuova versione fornita dal figlio, a nascondere l’apparecchio nel loro appartamento. La donna – inizialmente ascoltata solo come persona informata sui fatti – è ora formalmente indagata per concorso in occultamento di cadavere.
Agli inquirenti la madre di Mark ha raccontato di aver sentito il figlio litigare con Ilaria quella mattina e di averlo visto aggirarsi nervosamente dopo il delitto, chiedendole una grossa valigia e facendole intuire che qualcosa di terribile era accaduto. In uno straziante resoconto, la donna ha riferito di aver avuto paura del figlio in quei momenti – “Sembrava un demonio”, avrebbe detto agli investigatori – mentre lui si apprestava a far sparire il corpo di Ilaria. Il cadavere della studentessa, infatti, era stato nascosto in una valigia e gettato da Samson in un dirupo a circa 40 km da Roma, dove poi è stato ritrovato dagli investigatori.
La tragedia di Ilaria ha scosso profondamente l’Umbria e la comunità studentesca romana. Ai funerali della ragazza, celebrati il 7 aprile scorso a Terni, hanno partecipato circa tremila persone. Un lungo corteo silenzioso ha accompagnato il feretro dalla casa di famiglia fino al cimitero cittadino, dove si è tenuta una cerimonia di addio commossa. In segno di lutto e solidarietà, l’Università La Sapienza di Roma – presso cui Ilaria studiava – ha sospeso le lezioni per permettere a compagni e docenti di presenziare e stringersi intorno alla famiglia. Durante il rito funebre, svolto anche secondo la tradizione islamica a testimonianza delle origini albanesi della famiglia Sula, il dolore e la rabbia per questa ennesima vittima di femminicidio erano palpabili.
Il padre di Ilaria, Flamur Sula, ha preso la parola per chiedere giustizia a gran voce: “Deve marcire in carcere chi le ha fatto questo”, ha dichiarato riferendosi all’assassino. “Non meritava questa fine perché era una figlia d’oro, un angelo”, ha aggiunto tra le lacrime, tratteggiando il ricordo di una ragazza solare e benvoluta da tutti. Parole di sdegno sono giunte anche dalle istituzioni locali: il sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, ha definito Mark Samson “un diavolo, un uomo indegno di essere chiamato uomo” di fronte alla platea commossa, sottolineando quanto sia enorme la tristezza per una vita spezzata in modo così brutale. Durante la commemorazione qualcuno tra la folla ha gridato “ergastolo”, esprimendo il sentimento collettivo che chiede la massima pena per il colpevole.
La famiglia Sula, circondata dall’affetto di un’intera comunità, ora si aggrappa alla speranza che il sacrificio di Ilaria non sia vano. “Adesso è il momento di chiedere scusa e perdono alla famiglia di Ilaria Sula... il ragazzo deve pagare e il fatto è grave”, ha commentato anche il legale di Samson. L’auspicio condiviso è che da questa tragedia nasca una maggiore consapevolezza sulla violenza di genere, affinché nessun’altra giovane donna debba subire la sorte toccata a Ilaria. In nome di Ilaria, la comunità umbra e romana chiedono con forza verità e giustizia, trasformando il dolore in un appello accorato per fermare la spirale dei femminicidi.