Occupati umbri sempre più anziani, in un quadro nazionale e regionale in cui crescono i posti di lavoro. E in Umbria, questo fenomeno, è più marcato che nel resto d’Italia. Il dato è fornito dall’AUR, l’Agenzia Umbria Ricerche, in un paper curato da Elisabetta Tondini, responsabile dell’area di ricerca “Processi e trasformazioni economiche e sociali”.
Dunque, più occupati in regione ma più anziani. E a rischio c’è la copertura del fabbisogno lavorativo nei prossimi anni. In cui permane la tendenza all’inverno demografico e alla de-natalità. La fotografia al 2023 mostra che 3 occupati umbri ogni 4 hanno un’età compresa tra 35 e 64 anni. In pratica, poco più di una persona occupata ogni 5 ha meno di 35 anni (meno che in Italia) e oltre 4 su 10 hanno dai 50 anni in su (un po’ più che in Italia).
Occupati umbri più anziani: le implicazioni sul mercato del lavoro
“I motivi di ordine demografico – scrive Tondini nel suo paper – sono i principali responsabili dell’accentuata tendenza all’invecchiamento dell’occupazione“. Ad acuire questa situazione, le misure che hanno inasprito le condizioni per l’accesso al pensionamento e la maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro. Un effetto del passaggio dallo stato di inattività a quello di attività di una parte di donne mature, i cui figli sono diventati grandi.
“Intanto, i baby boomers – prosegue Tondini – diventeranno a breve pensionati e, nel medio periodo, sarà difficile sostituirli numericamente visto che le generazioni che li seguono sono sempre meno nutrite“.
Un auspicabile rafforzamento demografico delle fasce più giovani, se mai ci fosse, sarebbe un processo comunque lento per dare i suoi fruttii. È dunque ragionevole, secondo AUR, pensare che ancora per un po’ di anni a lavorare saranno in prevalenza le persone più anziane, comprese quelle con oltre 65 anni.
Il problema delle competenze e il rischio per il fabbisogno occupazionale
In un mercato dove la maggiore disponibilità di forza lavoro si trova tra gli ultracinquantenni, il grande dubbio riguarda le competenze richieste dal mercato e imposte dai frenetici progressi della tecnologia. Materia governata soprattutto dai più giovani che, però, sono sempre di meno.
Lo scenario si complica in Umbria per le difficoltà del sistema produttivo a reperire sul mercato le figure professionali di cui ha bisogno. La portata del fenomeno è sintetizzata da un numero. Ovvero dalla quota di lavoratori che le imprese considerano di difficile reperimento rispetto al fabbisogno totale: secondo le ultime stime Excelsior, sfiora il 48% in Italia e sale al 55% in Umbria.
“Questo collo di bottiglia, che si va restringendo – scrive Tondini – sta determinando ripercussioni di natura economica di non poco conto. Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro si sta aggravando anche per la necessità di sostituire i lavoratori in uscita. Nei prossimi anni la replacement demand assumerà un ruolo sempre più centrale e critico. Con i più giovani non in grado di garantire una piena sostituzione di quelle persone adulte destinate nel giro di pochi anni ad andare in pensione. Circa l’80% del fabbisogno occupazionale riguarderà la necessità di sostituire gli addetti che per fattori demografici – pensionamento o mortalità – usciranno dal mercato“.
Occupati umbri: mancano almeno 10 mila giovani per coprire il fabbisogno futuro
Per l’Umbria, del fabbisogno di circa 51 mila occupati previsto nel quinquennio, le unità da rimpiazzare si stima possano essere 40.800. Dunque sono poco più di 10 mila quelle da espandere. Insomma, circa 8 persone su 10 dovranno essere sostituite per coprire il fabbisogno lavorativo del personale in uscita e solo 2 dovrebbero essere i nuovi ingressi.
“Del fabbisogno occupazionale complessivo – scrive ancora AUR nella sua ricerca – il 36% sarà rappresentato da personale in possesso di una formazione terziaria (18 mila unità) e per il 51% (5 punti più che in Italia) da lavoratori con formazione secondaria di secondo grado. Cioè un diploma liceale (2 mila unità), un diploma tecnico-professionale (14 mila unità) o una qualifica/diploma IeFP (10 mila unità)“.
Fuga dei cervelli: un rischio per le imprese nel prossimo futuro
Insomma, i giovani con la “giusta” formazione dovrebbero avere sempre meno problemi a trovare un lavoro. Ma le imprese, dal canto loro, dovrebbero avere molto chiaro un concetto. Per i giovani di oggi, spostarsi in cerca di remunerazioni lavorative più interessanti non è più un ostacolo. Un elemento che sembra sia sottostimato dagli stessi datori di lavoro che, per oltre la metà dei casi, dichiarano di essere disinteressati ad arginare la fuga dei giovani talenti occupati nella propria azienda.
La fuga di cervelli, talenti e competenze giovani non risparmia l’Umbria. La regione, anzi, presenta condizioni più penalizzanti su questo fronte. Visto che il reddito medio dei dipendenti privati al di sotto dei 35 anni è molto più basso e in allontanamento progressivo rispetto a quello dei coetanei occupati al Centro-Nord. Inutile ricordare che le ripercussioni sul territorio dell’esodo dei più giovani rischiano di minare ulteriormente un equilibrio sociodemografico già pesantemente compromesso.