La mazzata arriva dritta al cuore della viticoltura italiana: un'imposta del 200% sui vini europei diretti negli Stati Uniti che rischia di mandare in frantumi anni di lavoro. In Umbria la situazione è ancora più drammatica: un settore che macina 20 milioni di euro di export annuo potrebbe ritrovarsi con il mercato americano sbarrato. Se le tariffe diventeranno realtà, vendere oltre oceano sarà poco meno di un miraggio.
Donald Trump ha minacciato di imporre dazi del 200% su vini, champagne e altri alcolici europei in risposta alla decisione dell'Unione Europea di applicare una tariffa del 50% sul whisky americano. Questa escalation è parte di una più ampia guerra commerciale iniziata con l'imposizione da parte degli Stati Uniti di dazi su acciaio e alluminio europei, a cui l'UE ha risposto colpendo prodotti simbolo dell'export americano, come il whisky.
La strategia di Trump mira a esercitare pressione sull'UE affinché rimuova le tariffe sul whisky statunitense, minacciando settori chiave dell'export europeo. Tuttavia, questa mossa potrebbe avere ripercussioni negative anche per i consumatori americani, che potrebbero affrontare prezzi più elevati e una minore disponibilità di vini europei.
Inoltre, l'industria vinicola americana esprime preoccupazione, temendo che l'aumento dei dazi possa danneggiare l'intero settore, data l'interconnessione tra produttori, distributori e rivenditori che dipendono anche dalle vendite di vini europei.
Marco Caprai, produttore di Montefalco e ambasciatore del Sagrantino nel mondo, suona l’allarme con la franchezza di chi ha le mani sporche di terra e numeri da difendere. "Siamo nel bel mezzo di un ciclone. Il 25% di dazi era già un massacro, ma un’imposta del 200% è un colpo di grazia. Anni di sacrifici buttati nel nulla", avverte. Il problema non è solo dei grandi player del settore: a rischiare il tracollo sono soprattutto le piccole e medie imprese, che non hanno margine per assorbire un simile tsunami fiscale. "Non c’è mai limite al peggio. Speriamo che sia solo una mossa da negoziatore spregiudicato", aggiunge con un filo di speranza.
La mossa di Washington è una bordata diretta alle politiche tariffarie europee su whisky e bourbon americani. Ma il gioco al rialzo rischia di ritorcersi contro gli stessi Stati Uniti. La produzione di vino a stelle e strisce non basta nemmeno a soddisfare la sete interna: 14 milioni di ettolitri all’anno sono briciole rispetto alla domanda. Con i vini europei fuori gioco, i consumatori dovranno fare i conti con scaffali più vuoti e prezzi alle stelle. "Non è protezionismo, è un colpo basso travestito da strategia", taglia corto Caprai.
Il terremoto dei dazi scuote anche le associazioni di settore, che vedono nero sul futuro del vino italiano oltre oceano. Cristiano Fini, presidente di Cia-Agricoltori Italiani, non usa giri di parole: "Una tassa del 200% sarebbe un colpo mortale per le vendite negli Stati Uniti, il nostro mercato principale che vale quasi 1,9 miliardi di euro l’anno". Ma il problema non è solo il crollo delle esportazioni: il vero incubo è lasciare campo libero ai competitor stranieri. "Se i nostri vini diventano un lusso inaccessibile, gli americani si butteranno su Malbec argentino, Shiraz australiano e Merlot cileno, e quando perdi un mercato così, recuperarlo è un'impresa".
Anche Confagricoltura si aggiunge alla lista di chi vede questa vicenda come un disastro annunciato. Il presidente Massimiliano Giansanti non si fa illusioni: "Speriamo sia solo fumo negli occhi, ma se così non fosse sarebbe una follia che rischia di trasformarsi in una battaglia commerciale all’ultimo sangue".
Un'eventuale conferma di queste tariffe sarebbe una mazzata per l’economia italiana, mettendo fuori gioco un settore che da anni si gioca tutto sul mercato globale. Una volta persi i rapporti con i buyer americani, riallacciare i fili sarebbe come scalare l’Everest senza ossigeno.