È un no secco e unitario, quello delle organizzazioni sindacali dei post-telegrafonici regionali, alla privatizzazione di Poste Italiane. “Con l’avvento di investitori privati – spiegano i sindacati – e la conseguente perdita del controllo pubblico, si rischia di perdere la capillarità della rete. Una rete che eroga i servizi ai cittadini anche nelle comunità più remote e assicura il servizio universale del recapito in tutte le realtà geografiche“.
No dei sindacati alla privatizzazione delle Poste, i numeri dell’Umbria
In una nota congiunta le segreterie regionali dell’Umbria Slp Cisl, Slc Cgil, Uilposte, Failp Cisal, Confsal com, Fnc-Ugl com fanno il punto anche sui numeri della regione. In Umbria gli uffici postali, esclusi i 16 centri che si occupano di recapito e logistica, sono 258 (191 in provincia di Perugia e 67 in provincia di Terni). I lavoratori di Poste Italiane in Umbria ammontano a circa 1600.
C’è grande interesse, dunque, per un settore che copre una ingente mole di servizi e che occupa centinaia di persone, generando valore sul territorio regionale. Si tratta, quindi, di prevenire il rischio di ulteriori razionalizzazioni dopo quelle avvenute nel 2015. Ristrutturazioni dei servizi che hanno portato alla chiusura di molti uffici periferici, soprattutto nei piccoli centri.
Per questa ragione, i segretari dei sindacati Marco Carlini, Enrico Bruschi, Stefania Panerai, Giuliano Tognellini, Maurizio Biagetti e Guerino Acerra, hanno chiesto un incontro al presidente dell’Anci per rappresentare il problema anche ai comuni.
Il MEF ha messo sul mercato circa il 30% dell’azienda, ma per i sindacati la prospettiva va evitata
Il governo ha recentemente licenziato il Dpcm che dà il via alla fase di privatizzazione di alcune aziende del Paese. Tra cui proprio Poste Italiane, con l’immissione sul mercato delle quote (29.26%) possedute dal Mef. “Come organizzazioni sindacali siamo fortemente contrari a questa ulteriore privatizzazione per diversi motivi“. Dicono in una nota congiunta le segreterie regionali dell’Umbria Slp Cisl, Slc Cgil, Uilposte, Failp Cisal, Confsal com, Fnc-Ugl com.
La possibile razionalizzazione degli uffici postali potrebbe comportare nel breve termine una riduzione del personale. Con ricadute occupazionali su tutta la nostra regione e con uno scadimento della qualità dei servizi erogati al cittadino.
“Il superamento dell’unitarietà del gruppo – affermano le segreterie dei sindacati – mette a serio rischio di sopravvivenza tutta la filiera del recapito postale. Un’attività su cui insiste il servizio universale, ad oggi meno remunerativo rispetto ai servizi finanziari, assicurativi e di bancoposta. La rete immateriale di Poste Italiane con oltre 30 milioni di rapporti intrattenuti con cittadini e Pmi, fa gola a molti. Essa rappresenta un fattore strategico per lo sviluppo dell’intero Paese, ma solo mantenendo il controllo pubblico potremo avere garanzia del mantenimento della socialità dei servizi, così come storicamente rappresentati da Poste Italiane da oltre 160 anni“.
No dei sindacati alla “logica del profitto e alla svendita dei servizi”
“Se la logica del puro profitto, propria dei fondi speculativi, dovesse sostituire l’attuale governance, mantenerere il controllo pubblico non sarà più possibile – spiega la nota congiunta dei rappresentanti dei lavoratori -. In conclusione, riteniamo che tutta l’operazione sia una inutile svendita, una operazione di mera cassa finalizzata ad abbattere il debito pubblico di insignificanti decimali, che va paradossalmente a discapito dello stesso bilancio pubblico“.
La vendita delle quote azionarie detenute dal Mef, infatti, comporta la rinuncia ai corposi dividendi distribuiti fra gli azionisti in questi anni. È invece utile ricordare – per i sindacati – che Poste Italiane, come afferma l’ad Matteo del Fante, ha chiuso il 2023 con 12 miliardi di ricavi, 2,6 miliardi di utile operativo e 1,9 miliardi di utile netto. Possibile che si voglia rinunciare a tutto questo?”.