Di Vanessa Piccioni e Tommaso Franchi
I giornali nazionali riempiono le pagine di accuse e inchieste sui conti dell’Università “Niccolò Cusano”, collegandole spesso arbitrariamente, tra l’altro, alla figura di Stefano Bandecchi. A noi l’arduo compito di fare chiarezza, anche perché non sembra interessare nessuno capire oltre che accusare.
Stefano Bandecchi è il sindaco di Terni, segretario nazionale di Alternativa Popolare e fondatore dell’università telematica “Niccolò Cusano”. Ne ha presieduto il consiglio di amministrazione dal 2021 al 2023. L’università “Niccolò Cusano” è un’università privata italiana istituita nel 2006, con sede a Roma. Due entità separate, che però vengono ripetutamente fatte coincidere all’occasione per necessità spesso solo giornalistiche.
Per quanto il lessico adoperato in questo momento sia semplice e lineare sarà la cifra stilistica della nostra risposta, davanti alla quale ci sembra giusto utilizzare documenti, atti e pareri per evitare di riempire l’aria di parole e per aggiungere, in questo modo, elementi precisi e documenti. La forza degli atti, insomma, che vale più di ogni illazione.
Report, Umbria7, Repubblica
La memoria più recente rimanda a un articolo pubblicato da Umbria7 che cita la passata inchiesta di Report e un articolo di Repubblica, anch’esso recente. L’accusa si basa su una multa comminata a Unicusano, giudicata colpevole nel caso specifico di non attenersi alle norme del codice del consumo nei rapporti con i suoi studenti, “costringendoli” così a pagare le rette universitarie anche dopo la cessazione del rapporto tra le parti.
Umbria7 riporta le decisioni dell’autorità del Garante e del Consiglio di Stato che danno torto a Unicusano e la obbligano a versare 250 mila euro di risarcimento. Parliamo di 200 mila euro per aver chiesto somme agli studenti anche dopo la cessazione del rapporto e 50 mila euro aggiuntivi l’errata indicazione del foro competente. I problemi, o meglio, gli spunti da analizzare sono diversi e ci sembra che nessuna delle testate sopra citate li abbia mai presi in considerazione: la domanda di iscrizione a Unicusano risulta chiara e risulta essere anche in linea con le altre domande di iscrizioni di atenei telematici.
Verrebbe da chiedersi come mai le altre università non hanno mai subito indagine o non siano state mai multate per gli stessi motivi di Unicusano. Ma questo è il male minore.
Il problema principale che si evince dalla faccenda, è il motivo per cui il giornalismo contemporaneo è in crisi e per cui il lettore medio è sempre più disaffezionato. Si preferisce il titolo, alla notizia. Si pensa ad attivare la macchina del fango, ad aizzare ed istigare l’indignazione pubblica, ma non si continua sul filone critico laddove possono esserci delle effettive criticità.
Il paradosso della multa a Unicusano
Per onore di cronaca, anzi, per amore di cronaca, visto che non viene specificato nelle altre testate: la multa di cui abbiamo appena parlato è già stata pagata da Unicusano.
I dubbi restano prendendo in esame le successive e più recenti vicissitudini legali: nei casi in cui gli studenti decidono di fare la rinuncia agli studi prima del pagamento delle rette successive e risultano inadempienti con i pagamenti, Unicusano è passata per vie legali con procedure ingiuntive ottenendo i relativi rimborsi. Le decisioni sono firmate dalla corte d’appello, da giudici di pace, da voci che ci sembrano assai più autorevoli, almeno in ambito legale, dei vari giornali. Il tribunale di Roma e la corte d’appello di Genova hanno affermato infatti che il codice del consumo non si applica nei rapporti tra studenti e Unicusano.
Alla luce della sentenza del Consiglio di Stato datata 3 maggio 2023, nella quale si enunciava la sanzione economica per Unicusano con l’accusa di aver indotto lo studente al pagamento delle rate accademiche successive alla sua rinuncia agli studi, l’università ha dimostrato in sede legale di aver ampliamente adempiuto al pagamento della sanzione inferta, nonostante essa non corrispondesse “in toto” al comportamento che la stessa Unicusano, nel corso del tempo, ha effettuato pagando la sanzione.
C’è scritto chiaramente che lo studente che effettua la rinuncia agli studi è tenuto a sanare la sua posizione economica solo ed esclusivamente per quanto riguarda i costi e i pagamenti degli anni maturati prima della richiesta di rinuncia. Pagamenti che, in aggiunta, possono essere dilazionati nel corso del tempo anche mediante una rateizzazione concordata con la stessa Unicusano. Una disciplina amplia e diversa da quelle delle altre università che, talvolta, adottano un approccio più restrittivo rispetto a tale misura.
Non solo. Una volta adempiuto al pagamento della sanzione amministrativa la stessa Unicusano, nell’avanzare del periodo normativo, si trovava coinvolta in procedimenti analoghi in cui il provvedimento del Consiglio di Stato veniva preso come esempio di scuola per i tribunali in cui la stessa università veniva chiamata in causa per provvedimenti analoghi e specifici.
Eppure, nei casi in cui la giurisdizione civile si contrappone a quella amministrativa, è qui che siamo davanti al paradosso legale e, dunque, all’assurdo normativo. Andando a un esempio recente, quello della sentenza n. 4294/2024 pubbl. il 07/03/2024 presso il Tribunale di Roma. Non parliamo di una corte qualunque, dunque.
In sentenza evince chiaramente che la disciplina coinvolta, che vede l’applicazione del codice del consumo alla normativa universitaria, lo stesso codice che il Consiglio di Stato ha usato per confermare la sanzione pecuniaria ai danni dell’Unicusano, non abbia applicazione nelle fattispecie denunciate. In allegato le parole esatte contenute nella sentenza.
Alla luce di questo, nella sentenza, la giurisdizione civile non sottopone nel dialogo normativo la giurisdizione amministrativa, dando ragione all’Unicusano in merito alla non applicabilità del codice di consumo. Della stessa guisa anche la corte d’appello di Genova, sent. n 491/2024, nella quale c’è anche un paragrafo dedicato alle clausole vessatorie.
Morale della favola, nonostante la giurisdizione civile abbia più volte evidenziato l’inapplicabilità delle norme del codice di consumo alla materia universitaria, norme che poi sono alla base della sentenza amministrativa del Consiglio di Stato, evince comunque in capo all’Unicusano una sanzione complessiva di 250mila euro. Sanzione che, aldilà della giustizia del verdetto, l’Unicusano ha pagato “in toto”, rispetto una seppur nebulosa volontà legislativa.
Senza troppi tecnicismi, possiamo dire ai colleghi di stare tranquilli. D’altronde, è un gioco facile quello del giornalista se lo si vuole fare bene. Si prendono sentenze, numeri, atti, documenti e si riporta, fedelmente e con diritto di cronaca, quello che accade. Con la legge è anche più semplice.
Dunque, l’invito collettivo è di riporre nel cassetto antipatie, simpatie, odi e scorrettezze e cominciare a fare il proprio lavoro. La sanzione è stata pagata, il tema è discusso in dottrina e Bandecchi non deve pagare altro rispetto a quanto l’Unicusano ha già pagato, seppur la sentenza poggi su un postulato alquanto fallace. Poco da dire, colleghi. Queste son le carte, questi sono i soldi.