Fino al 23 marzo 2025 Perugia celebra la grande fotografia con una mostra dedicata alla maestria di Dorothea Lange, una delle figure più emblematiche del Novecento. Palazzo della Penna, trasformato in Centro per le Arti Contemporanee, presenta una mostra che è un omaggio alla straordinaria fotografa americana che ha saputo raccontare con potenza ed empatia le ferite della società del Novecento. L’esposizione, frutto della collaborazione tra il Comune di Perugia, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino e Le Macchine Celibi, offre oltre 130 scatti che ripercorrono gli anni cruciali della carriera di Lange.
La mostra, oltre a celebrare la celebre autrice di Migrant Mother (1936), segna un nuovo capitolo per Palazzo della Penna, che si proietta verso il futuro come centro dinamico dedicato alle arti contemporanee. Questo spazio si reinventa per abbracciare nuove visioni culturali, diventando un punto di incontro tra tradizione e innovazione. La sindaca Vittoria Ferdinandi ha sottolineato di essere emozionata nell’inaugurare quella che rappresenta “la prima mostra promossa dalla nostra amministrazione. Ringrazio l’assessore Pierini per averci regalato l’opera straordinaria di Dorothea Lange, un’icona della fotografia che ha saputo catturare e raccontare la realtà di un’epoca difficile attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica”.
Perugia, la fotografia sociale di Dorothea Lange in mostra: uno specchio del Novecento
Il percorso espositivo della mostra di Dorothea Lange a Perugia si concentra sugli anni Trenta e Quaranta del Novecento, un periodo segnato dalla Grande Depressione e dalle drammatiche migrazioni interne negli Stati Uniti. Lange, inizialmente ritrattista di successo, abbandona il suo studio dopo aver osservato le file interminabili di persone in cerca di cibo e lavoro. Quella visione le cambia la vita: la fotografia diventa per lei una missione, uno strumento per documentare la realtà sociale e per dare voce agli invisibili.
Nel 1935 inizia un viaggio con l’economista Paul S. Taylor, suo futuro marito, nelle zone agricole devastate dalla crisi e dalla Dust Bowl. Le tempeste di sabbia, raccontate anche da John Steinbeck nel romanzo Furore del 1939, cancellano le speranze di migliaia di famiglie, costringendole a migrare verso la California. Lange cattura questi drammi attraverso immagini che restano impresse nella memoria collettiva. Tra queste, l’iconica Migrant Mother, il ritratto di una madre stremata con i suoi figli in un accampamento di fortuna.
La fotografa lavora per il programma governativo Farm Security Administration (FSA), nato per sostenere le politiche del New Deal. Ogni scatto è accompagnato da didascalie dettagliate che raccontano storie di sopravvivenza, solidarietà e dignità. Dagli agricoltori sfruttati nelle piantagioni di cotone del Sud, segnate dalla segregazione razziale, ai lavoratori nelle fattorie californiane, Lange documenta con occhio attento e compassionevole le difficoltà di un’America in ginocchio.
Una voce contro le discriminazioni
La seconda parte della mostra dedicata a Dorothea Lange a Palazzo della Penna a Perugia affronta un altro capitolo cruciale: l’internamento forzato della comunità giapponese negli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’attacco di Pearl Harbor nel 1941, infatti, il governo americano decide di confinare in campi di prigionia migliaia di cittadini di origine giapponese. Accusati ingiustamente di essere una minaccia per la sicurezza nazionale.
Lange è incaricata di documentare questa drammatica realtà e realizza immagini di straordinaria forza espressiva. Nonostante il suo aperto dissenso verso la politica governativa, i suoi scatti rivelano con delicatezza e umanità la vita quotidiana dei prigionieri. I volti raccontano storie di smarrimento, dignità e adattamento forzato, trasformando quelle fotografie in una denuncia silenziosa contro l’ingiustizia.
La curatrice Monica Poggi ha sottolineato: “La sfida è stata uscire dal tracciato più classico andando anche oltre immagini iconiche come ‘Migrant Mother’. Ci siamo concentrati su dieci anni particolarmente intensi in cui Lange ha lavorato per il governo Usa allo scopo di documentare le condizioni dei migranti della grande crisi economica e ambientale”. “Il messaggio che l’autrice ci consegna, ad ogni modo, non è solo drammatico”, prosegue, “ma testimonia come la fotografia possa innescare cambiamenti sociali concreti. Un aspetto di cui rimanere consapevoli”.
Con oltre 130 fotografie, quindi, l’esposizione offre uno straordinario percorso visivo che cattura l’essenza di un’epoca. In grado di coinvolgere sia gli appassionati di fotografia che chi desidera comprendere la forza della narrazione attraverso le immagini e chiunque voglia riscoprire la forza della narrazione visiva. Un viaggio emozionante tra passato e presente, capace di restituire dignità alle storie più dimenticate della nostra storia.