Si è spento improvvisamente a Perugia Michele Renzo, un magistrato che ha segnato profondamente la storia giudiziaria italiana. Nato ad Alife, in provincia di Caserta, il 28 agosto 1953, Renzo si era trasferito a Perugia dove aveva scelto di vivere con la sua famiglia dopo una brillante carriera che lo aveva visto in prima linea in alcuni dei casi più complessi e delicati del Paese. Conosciuto per la sua straordinaria preparazione e acutezza, ma anche per un’ironia che lo rese amato e rispettato dai colleghi e dai cronisti, Michele Renzo era affettuosamente chiamato “il dottor Sottile”.

Michele Renzo: protagonista nelle Indagini sul “Mostro di Foligno”

La carriera del Pm Michele Renzo è indissolubilmente legata a uno dei casi più scioccanti della cronaca italiana: quello di Luigi Chiatti, tristemente noto come il “mostro di Foligno”. Come sostituto procuratore a Perugia, Renzo collaborò strettamente con Fausto Cardella nelle indagini che portarono all’arresto e alla condanna del geometra che aveva terrorizzato l’Umbria con gli efferati omicidi di due bambini. Il suo lavoro in quel caso lo consacrò come uno dei magistrati più capaci e rigorosi della sua generazione, capace di affrontare anche le situazioni più intricate con lucidità e determinazione.

Dopo aver lasciato Perugia nel 1998, Renzo continuò a distinguersi come magistrato, assumendo ruoli di crescente responsabilità. Nominato procuratore capo a L’Aquila nel 2016, incarico che mantenne fino al suo pensionamento nell’agosto 2023, si era già fatto notare ad Ascoli Piceno. Qui coordinò le indagini su due casi di grande rilievo nazionale: lo scontro tra due aerei Tornado nel 2014, che costò la vita a quattro giovani piloti, e l’omicidio di Melania Rea, che portò all’arresto del marito della vittima, Salvatore Parolisi.

Dalla lotta alla corruzione alle “toghe sporche”

Renzo non fu solo un magistrato di provincia, ma anche un protagonista della lotta alla corruzione a livello nazionale. Parte del pool di magistrati che si occupò delle inchieste sulle cosiddette “toghe sporche” a Roma, Renzo lavorò a stretto contatto con colleghi di altissimo profilo. Tra essi Fausto Cardella, Alessandro Cannevale e Silvia Della Monica. Tra i casi seguiti spiccano quelli che coinvolsero figure influenti come Pierfrancesco Pacini Battaglia e Lorenzo Necci. Questo impegno gli valse una reputazione di integerrimo cultore del diritto, rispettato e stimato in tutto l’ambiente giudiziario.

Oltre al suo impegno professionale Michele Renzo era un uomo di vasta cultura e forti passioni. Grande tifoso del Napoli, amava i film d’essai, un interesse che coltivava con la stessa dedizione che metteva nel suo lavoro. La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile non solo tra i colleghi e i familiari, ma anche in tutti coloro che ebbero il privilegio di conoscerlo e di apprezzare il suo acume e la sua umanità.

La storia del “mostro di Foligno” e le indagini di Michele Renzo

La storia di Luigi Chiatti, conosciuto come il “mostro di Foligno”, è una delle più terribili e sconvolgenti che l’Italia abbia mai conosciuto. Nato come Antonio Rossi a Narni, figlio di una giovane madre che non fu in grado di prendersi cura di lui, venne affidato a un orfanotrofio. Qui trascorse i primi anni della sua vita. Anni in cui un prete abusò ripetutamente di lui fino al 1975 quando venne adottato da una coppia di Foligno.

Era il 4 ottobre 1992 quando l’incubo iniziò, stando alle ricostruzioni del Pm Michele Renzo che si occupò di quello che sarebbe diventato il caso del “mostro di Foligno”. Luigi Chiatti, all’epoca 24enne, approfittò di un momento di assenza dei suoi genitori adottivi per avvicinare un bambino di soli 4 anni, Simone Allegretti. Con un pretesto lo convinse a seguirlo a casa sua, ma quello che iniziò come un gioco si trasformò rapidamente in un incubo per il piccolo Simone. Le urla disperate del bambino innescarono una violenza cieca in Chiatti, che lo strangolò con le proprie mani. Non contento, trasportò il corpicino senza vita in una zona isolata, dove lo accoltellò ripetutamente per assicurarsi della sua morte. Il corpo martoriato di Simone venne ritrovato due giorni dopo.

L’omicidio di Lorenzo Paolucci e il processo

Quasi un anno dopo, il 7 agosto 1993, Chiatti tornò a colpire. Questa volta la vittima fu Lorenzo Paolucci, un ragazzino di 13 anni che conosceva bene. Con un’abilità glaciale, Chiatti lo attirò a casa sua dove iniziarono a giocare a carte. Ma quando Lorenzo cominciò a vincere, l’orgoglio ferito di Chiatti scatenò un’altra esplosione di violenza. L’aggressione fu brutale: prima colpì Lorenzo con una forchetta, poi lo strangolò, infine lo finì con un coltello. Come nel caso di Simone, il corpo fu avvolto in un sacco di plastica e abbandonato in una discarica. Ma questa volta, il trambusto attirò l’attenzione dei vicini, che accorsero sul posto. L’arresto di Luigi Chiatti avvenne poco dopo e confessò con una freddezza agghiacciante i suoi crimini.

Il processo contro Luigi Chiatti iniziò il 1° dicembre 1994 e l’Italia intera lo seguì con trepidazione. La corte di Assise di Perugia lo condannò a due ergastoli ma in appello la pena fu ridotta a 30 anni di reclusione a causa di una parziale infermità mentale. Chiatti scontò la sua pena fino al 3 settembre 2015, quando lo trasferirono in una Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) in Sardegna. Anche se tecnicamente libero, il pericolo che rappresentava per la società era ancora troppo elevato. Per questo il suo soggiorno nella REMS fu prorogato più volte.