Il Carnevale dell’Umbria, con le sue tradizioni secolari, non è soltanto un’occasione di festa, ma un viaggio attraverso la storia, l’arte e la cultura di una regione che ha saputo mantenere vive le radici di una delle espressioni teatrali più affascinanti d’Italia: la Commedia dell’Arte. Le maschere umbre, ognuna con la propria storia e il proprio carattere, sono i protagonisti di una narrazione che affonda le sue origini nella teatralità popolare, richiamando figure leggendarie che, con la loro vivacità e irriverenza, continuano a incantare generazioni di spettatori. In questo articolo, esploreremo le maschere più iconiche e rappresentative di questa tradizione, svelando il loro fascino intramontabile e il legame profondo con il folklore e l’identità della nostra terra. Un viaggio nel cuore del Carnevale umbro, dove l’arte, la storia e l’ingegno si fondono in un’esplosione di colori, suoni e tradizioni da scoprire.

Rosalinda, la tradizionale maschera del rione Pian dell’Ara di Avigliano Umbro: tra storia e folklore

Rosalinda è una figura affascinante, dalla personalità affilata e intrigante, che incarna una raffinata combinazione di grazia, seduzione e astuzia. Sempre con sé, porta un piccolo ventaglio, strumento simbolico che utilizza per allontanare l’imbarazzo nei momenti più delicati. Lontana e unica nipote di Nasotorto, con la quale condivide l’ambizione di ottenere la sua eredità, si trova divisa tra due pretendenti, Chicchirichella e Nasoacciaccato, con una perenne indecisione che arricchisce la sua figura di sfumature comiche e affascinanti.

Nel costume di Rosalinda si riflette l’essenza della sua figura: un mix di femminilità e potere seduttivo. Il blu ciano e il bianco dominano il suo abito, con una giacca damascata impreziosita da un collo in organza bianco ghiaccio. La gonna, semplice ma elegante, riprende la stessa tonalità del blu, con una balza damascata che richiama la ricercatezza dei dettagli storici. Le calze bianche e le scarpe ricamate con lo stesso tessuto della giacca, ornato da grandi fiocchi bordati di pizzo, completano un look che non passa inosservato. Un grande fiocco di tessuto damascato ciano adorna i suoi capelli mossi, mentre un corsetto steccato sottolinea la linea del busto, evocando l’estetica dell’epoca e il suo status di seduttrice consapevole del proprio fascino.

Rosalinda è una maschera di Carnevale che, attraverso il suo charme sofisticato e l’arte della seduzione, riesce a raccontare una storia di ambizione, leggerezza e spregiudicatezza, riflettendo la complessità della Commedia dell’Arte in tutta la sua espressione teatrale.

La figura di Nasoacciaccato: il simpatico e spigliato nullafacente tuttofare del rione Sant’Egidio

Nato nel rione Sant’Egidio di Avigliano Umbro, Nasoacciaccato è un personaggio che incarna il perfetto archetipo del furbo e del disinvolto nullafacente, sempre con il suo bastone e un fagottello legato con il tipico fazzoletto a quadri scuri, simbolo della sua condizione di vagabondo e ingannatore. Compagno di avventure e di imbrogli di Chicchirichella, si destreggia tra una serie di mestieri, più o meno leciti, con una straordinaria agilità mentale, un’attitudine alla rissa e una spiccata capacità di manipolare gli altri. Il suo comportamento è quello di un uomo senza legami, un libertino che evita qualsiasi tipo di costrizione, pur cercando continuamente di approfittare delle debolezze altrui.

Furioso e disonesto, Nasoacciaccato non si fa scrupoli ad utilizzare la sua arguzia per ingannare e creare caos, soprattutto quando si trova a contesa con Chicchirichella per l’amore di Rosalinda, la quale diventa il fulcro di molte delle sue macchinazioni. Il suo spirito indomito lo porta a girovagare incessantemente, trasportando il suo fagotto da un luogo all’altro, sempre alla ricerca di un’opportunità per imbrogliare e tendere tranelli al prossimo.

Il suo abito, seppur semplice e povero, è intriso di simbolismi. Nasoacciaccato veste una camicia bianca di cotone, comoda e con ampie maniche, accompagnata da pantaloni sotto al ginocchio di cotone a righe bianche e azzurre. La cintura di cuoio stringe la camicia ai fianchi, mentre le calze nere e le scarpe di cuoio chiaro rispecchiano la sua condizione modesta. Il suo cappello blu notte, decorato con due penne di fagiano, è l’unico segno di una possibile ricchezza nascosta dietro la sua apparenza di miseria. Il mantello di lana pesante, a grossi quadri cuciti insieme, rappresenta la sua casa e la sua protezione, un rifugio mobile che lo segue ovunque vada, proprio come farebbe un’ombra.

Bartoccio: la maschera emblematica e simbolo per eccellenza della tradizione umbra

Bartoccio, la più celebre e longeva delle maschere perugine, è da secoli un simbolo di tradizione e ironia. La sua apparizione nel 1521, immortalata per la prima volta in un testo, segna l’inizio di una lunga e affascinante storia che continua a incantare le generazioni. Con il suo aspetto inconfondibile – un gilet rosso porpora sotto una giacca verde e cappello coordinato, calzoni di velluto scuro e scarpe eleganti – Bartoccio incarna una personalità altrettanto imponente, accentuata dal suo naso prominente, simbolo della sua grandezza e della sua saggezza.

Maschera tipica del villano burlesco, Bartoccio è un personaggio ricco di contraddizioni: benestante ma rozzo, vivace ma spesso brontolone, coraggioso ma sempre pronto a sollevare un’osservazione pungente. Le sue famose “bartocciate” spaziano dalla satira politica alla critica sociale, incorniciando il suo spirito da eterno provocatore. Appartenente alla Commedia dell’Arte del Seicento, la sua origine è profondamente radicata nel mondo rurale umbro, in particolare nel fertile Pian del Tevere, tra San Martino in Campo e Torgiano. Il suo dialetto marcato e il suo carattere conviviale lo rendono l’incarnazione perfetta di un’anima popolare, legata alla terra e alle sue contraddizioni.

Ogni anno, durante il Carnevale, Bartoccio entra trionfalmente a Perugia, attraversando Porta San Pietro a bordo di un carro addobbato e trainato da buoi, insieme alla sua inseparabile moglie Rosa. Lungo il percorso di Corso Vannucci, tra balli, canti e suoni, Bartoccio lancia alla folla fogli con le sue pungenti bartocciate, offrendo uno spunto di riflessione sulla politica, le tasse, i debiti e le ingiustizie sociali. Questa tradizione, che si tramanda da secoli, non solo celebra l’irriverenza e l’umorismo, ma continua a mantenere viva la sua capacità di denuncia sociale, rinsaldando il legame profondo con la terra umbra che ha dato vita a questa figura indimenticabile.