Una nuova lettera. Una confessione amara che riapre ferite profonde, mai rimarginate. Mark Samson, 23 anni, reo confesso dell’omicidio di Ilaria Sula, ha deciso di scrivere ai magistrati dal carcere di Rebibbia. Parole che lasciano sgomenti, ancora una volta, in un caso che ha già segnato profondamente l’opinione pubblica.
Mark Samson non si nasconde dietro un linguaggio freddo. Racconta un pezzo della sua verità, rievocando gli ultimi momenti vissuti con Ilaria quella sera, nell’appartamento di via Homs, nel quartiere Africano di Roma.
Scrive:
"Dalle 22.15 fino alla mezzanotte mi ero stancato di aspettare. Lei, nel frattempo, cercava altre persone con cui legare." Una frase che pesa come un macigno, che prova a dare una spiegazione a un gesto che resta, in ogni caso, ingiustificabile.
Samson descrive anche momenti di apparente serenità:
"Ci siamo stesi sul mio letto, abbiamo iniziato a parlare delle cose belle vissute insieme: i viaggi, le esperienze, i nomignoli che ci eravamo dati – 'amore', 'tesoro', 'vita'. Poi quelli albanesi: 'shpirt', 'zemra ime', e quelli filippini: 'bebe ko', 'mahal', 'asawa'."
C'è poco da dire, qui si legge il racconto di una relazione apparentemente intensa, ma che celava tensioni profonde.
La lettera sembra delineare un movente preciso: la gelosia.
Samson ammette il suo fastidio crescente, la stanchezza di sentirsi messo da parte, come se non bastasse più a riempire la vita di Ilaria. Un fastidio che ha covato silenziosamente e che, quella notte, è esploso in tutta la sua brutalità.
Secondo gli inquirenti, il senso di esclusione e la paura dell'abbandono avrebbero acceso la miccia. Non una discussione violenta, ma un lento scivolamento verso il gesto estremo.
Tre coltellate alla gola. Così si è spenta la vita di Ilaria Sula, 22 anni. Una studentessa piena di sogni e progetti, strappata via senza pietà.
Dopo il delitto, Mark Samson ha nascosto il corpo della ragazza dentro una valigia. Poi ha viaggiato per ore, fino a Capranica Prenestina, dove l’ha abbandonata in un dirupo.
Non solo. Ha anche inviato messaggi dal cellulare di Ilaria per depistare le ricerche, fingendo che lei fosse ancora viva. Un macabro tentativo di prendere tempo, prima che la verità venisse a galla.
In quelle ultime ore, Ilaria Sula probabilmente non immaginava di essere in pericolo.
Si era fidata di chi, almeno a parole, continuava a chiamarla "amore", "vita", "bebe ko".
La giovane voleva semplicemente vivere la sua vita. Costruire nuovi legami, esplorare nuove amicizie. Una libertà sacrosanta che, per qualcuno, si è trasformata in una colpa da punire.
Il ritratto che emerge è quello di una ragazza piena di vita, sorridente, appassionata. Spezzata senza pietà da chi, incapace di accettare un "no", ha scelto la violenza come risposta.
Il padre di Ilaria, alla notizia della prima lettera ricevuta, quella precedente delle scuse, ha commentato con dolore: "Non ci aspettavamo una lettera così adesso. Magari tra 30 o 40 anni, non ora."
L’Italia intera, non solo Terni, segue con rabbia e indignazione questo caso. Un altro femminicidio, un’altra giovane donna uccisa da chi avrebbe dovuto amarla e rispettarla.
Intanto, Mark Samson resta in carcere. È accusato di omicidio volontario aggravato dalla relazione affettiva e dall’occultamento di cadavere. Anche sua madre è indagata, per concorso nell’occultamento.
Mentre le indagini vanno avanti, il vuoto lasciato da Ilaria resta. E una domanda continua a pesare: come si può spezzare una vita per il semplice desiderio di essere liberi? Possibile che ogni volta siamo costretti a scrivere un'altra triste pagina che racconta dell'ennesimo femminicidio?