22 Feb, 2025 - 20:34

Terni, anche gli studenti contro DDL Sicurezza: "Non ci sentiamo al sicuro"

Terni, anche gli studenti contro DDL Sicurezza: "Non ci sentiamo al sicuro"

Sabato pomeriggio Terni si è unita al coro di protesta che ha attraversato l’Italia contro il nuovo Decreto Legge Sicurezza, attualmente in discussione in Senato. Il corteo, partito alle 15 da piazza dell’Orologio, ha attraversato la città facendo tappa in diversi punti prima di raggiungere il Comune. Un corteo determinato, ma anche colorato e vitale: musica, balli e cori hanno accompagnato la protesta, dimostrando che il dissenso può avere mille forme. Un piccolo intoppo c'è stato, quando il camioncino dell'organizzazione è rimasto in panne per qualche minuto, ma la manifestazione è proseguita senza perdere il suo slancio.

Non solo contestazione, ma anche voglia di esserci, di contare, di non delegare ad altri il proprio futuro. Accanto a loro, numerose realtà associative, sindacali e politiche, tra cui Terni Solidale, Agedo Terni, All Eyes on Palestine, Alleanza Verdi Sinistra, M5S, Arci, Casa Rossa Spoleto, il centro sociale 'G. Cimarelli', Cobas, Coordinamento ternano per la Palestina, Cub Umbria, Esedomani Terni, Fiom Terni, Flc Cgil Terni, Movimento Radicalsocialista, Rifondazione Comunista, il Pettirosso Aps, Potere al Popolo, La Siviera, Uaar, Usb, Terni Sold Out e l’Unione degli Studenti.

A sorprendere, più di tutto, è stata la grande partecipazione di giovani: studenti e studentesse, alcuni giovanissimi, che hanno portato la loro voce e la loro energia in piazza. Non solo contestazione, ma anche voglia di esserci, di contare, di non delegare ad altri il proprio futuro. Ma a scuotere davvero la piazza sono stati loro, i ragazzi, quelli che non si sono accontentati di guardare, ma hanno alzato la voce e preteso di essere ascoltati.

Perché oggi si è manifestato a Terni

Il Disegno di Legge Sicurezza, attualmente in discussione in Senato, è vista da chi protesta come una mazzata sulla libertà di espressione e il diritto al dissenso. Un pacchetto di misure che suona come una dichiarazione di guerra contro chiunque osi alzare la voce. Tra le perle del decreto: pene più severe e penali per chi partecipa a manifestazioni non autorizzate, multe e sanzioni per chi occupa edifici abbandonati, poteri espansi alle forze dell'ordine per reprimere il dissenso. E come se non bastasse, l’obbligo per le università e gli enti di ricerca di collaborare con i servizi segreti, un’intrusione che puzza di sorveglianza di massa e censura accademica.

Le proteste del 22 febbraio sono esplose in tutta Italia, organizzate dalla rete "No DDL Sicurezza", per sbattere in faccia al governo il rifiuto netto di questo bavaglio istituzionalizzato. La CGIL, tra i principali sindacati italiani, ha preso posizione senza mezzi termini, bollando il provvedimento come "sbagliato e pericoloso, un attacco ai diritti di sciopero, di manifestazione e di dissenso". Ma la rabbia è più ampia del perimetro sindacale: le piazze si sono riempite di studenti, lavoratori, attivisti, con cortei, presidi e sit-in per denunciare un disegno di legge che sembra studiato a tavolino per imbavagliare chiunque osi dissentire.

Arci Terni: "Combatteremo per i diritti e per la democrazia"

L’Arci Terni, tra le voci più critiche del decreto a livello locale, ha lanciato un avvertimento netto: "Il nuovo Decreto Legge Sicurezza porta l'Italia verso una democrazia dove il dissenso è criminalizzato e le proteste nonviolente punite severamente". 

L’aria che si respira, stando alla nota, è pesante, una cappa di repressione che si stringe attorno a chi osa sfidare il potere. "Combatteremo per i diritti e per la democrazia, almeno fino a che ci permetteranno di farlo" conclude l’Arci, un avvertimento più che una promessa. La piazza ha risposto con determinazione: il dissenso non è ancora morto, e chi pensa di poterlo silenziare dovrà fare i conti con una rabbia che non si spegne.

Pietro smaschera il sistema: una denuncia contro il potere corrotto

Pietro non ha risparmiato nulla. Dal palco, ha squarciato il velo sull'ipocrisia istituzionale: "Assistiamo a una quotidiana perversione dello stato di diritto. Questo governo sfrutta l'apparato democratico a suo piacimento e ne conosce i meccanismi solo nella misura in cui diventano strumenti per assecondare il proprio tornaconto. Ma questo utilizzo illegittimo spesso fallisce per colpa di una sostanziale incompetenza delle figure che occupano posizioni amministrative di rilievo". Un’accusa diretta, senza filtri, contro un sistema dove la meritocrazia è stata sostituita dal manuale Cencelli dei favori e degli amici degli amici.

"La norma diventa estensione del manganello di cui fanno le spese le categorie più deboli, che vengono indicate come capri espiatori di problemi ormai strutturali del paese", ha incalzato Pietro. Una strategia ormai logora: trovare un nemico, disegnarlo come minaccia, scaricargli addosso la colpa di ogni male. "Povero, straniero, diverso", le etichette cambiano, il metodo resta lo stesso. E poi la stoccata finale: "Manifestare non è un diritto, è una concessione, perché se può essere tolto in qualsiasi momento allora non è un diritto. Stanno provando a decidere su cosa si può protestare e su cosa no". Un messaggio chiaro: chi detiene il potere ha paura delle piazze. E proprio per questo, le piazze non hanno intenzione di tacere.

Manifestazione a Terni contro DDL Sicurezza

Gisella contro il bavaglio di Stato: l'allarme sulla libertà di espressione

Gisella ha preso il microfono e ha affondato il colpo senza esitazioni. Nessun eufemismo, nessuna concessione al politichese: "La modifica all'articolo 31 obbligherebbe le università e gli enti di ricerca a collaborare con i servizi segreti, anche in deroga alle normative sulla riservatezza. È uno spaventoso cambiamento che metterebbe migliaia di studenti in una condizione di abrasione della propria libertà d'espressione". Un quadro inquietante, una deriva che mette in vendita il diritto di sapere e di esprimersi senza paura.

Ma Gisella non si è fermata lì. Ha puntato il dito contro un sistema che si regge sul sacrificio delle fasce più fragili: "Di questo attacco alle fasce più fragili della popolazione noi saremo le prossime vittime. Anche chi crede che la democrazia tutelerà i suoi pochi averi potrebbe trovarsi improvvisamente senza diritti. La libertà di parola è un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione, e la sua protezione richiede la collaborazione di tutti". Parole nette, senza sconti. Per Gisella, chi ancora crede di poter restare a guardare farebbe meglio a rendersi conto che il tempo dell’indifferenza è finito.

Gli studenti parlano, i politici tacciono

Gisella e Pietro hanno parlato a gran voce, senza paura di esporsi, incarnando lo spirito di una generazione che ha scelto di non restare a guardare. E mentre loro mettevano in gioco idee e parole, c’era chi, pur avendo un ruolo politico, è rimasto ai margini. Non un commento, non una presa di posizione netta, come se il bavaglio che si contesta fosse già stato accettato da chi invece dovrebbe opporsi.

Chi ha un ruolo di rappresentanza ha il dovere di esporsi, come ha fatto l'Arci, come ha fatto Rifondazione. Qualcosa è stato detto ai microfoni, ma alle domande dirette la risposta è stata il silenzio. La protesta non può reggersi solo sulle voci di chi non ha potere: chi può parlare ha la responsabilità di farlo, senza esitazioni.

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Francesca Secci
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