La compravendita di prodotti petroliferi si conferma tra le rotte privilegiate delle organizzazioni criminali calabresi e campane attive in Umbria. A metterlo nero su bianco è la relazione semestrale della "Direzione Investigativa Antimafia (DIA)", relativa al 2024 e presentata in Parlamento dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Il documento fotografa una realtà allarmante: il clan dei "Casalesi" starebbe coltivando interessi precisi nel riciclo illecito dei rifiuti, con una predilezione per i materiali ferrosi. Infiltrazioni che vanno ben oltre la cronaca giudiziaria e che si insinuano nei gangli vitali dell’economia regionale, con potenziali ricadute ambientali ed economiche difficili da arginare.
Il coinvolgimento di cosche calabresi ('ndrangheta) e campane (camorra) nel commercio di carburanti e altri prodotti petroliferi rappresenta un fenomeno sempre più concreto anche in Umbria. Tale settore, estremamente lucroso, consente alle mafie di generare profitti illeciti attraverso meccanismi come l’evasione delle accise, il contrabbando di carburante e la fatturazione falsa, danneggiando al contempo la concorrenza leale.
La DIA evidenzia come proprio la compravendita di prodotti petroliferi sia risultata un ambito privilegiato per l’operatività di clan esterni sul territorio umbro. Questo interesse rispecchia trend nazionali noti come "petrolmafie", in cui organizzazioni mafiose infiltrano la filiera dei carburanti per riciclare denaro sporco e alimentare le proprie casse.
Per le imprese umbre oneste ciò comporta un grave svantaggio competitivo, mentre i consumatori rischiano di imbattersi in prodotti di qualità scadente o frutto di attività illecite.
Un altro settore finito nel mirino dei clan è quello dei rifiuti, specialmente il riciclo di metalli ferrosi. La relazione DIA riferisce di "evidenze" che attestano l’interesse del clan dei Casalesi nel business del riciclo illecito di rifiuti ferrosi.
Il traffico e lo smaltimento illegale di rifiuti rappresentano da tempo uno dei business più redditizi per le ecomafie: gestire discariche abusive, movimentare rottami e materiali tossici senza controlli, significa ottenere profitti elevati abbattendo i costi di smaltimento legale. L’Umbria, con il suo tessuto industriale (basti pensare all’area di Terni e alle attività metallurgiche), può diventare terreno fertile per tali operazioni illecite.
Dal dossier DIA emerge chiaramente come la posizione geografica dell’Umbria, regione senza sbocco al mare ma baricentrica nell’Italia peninsulare, unita alle caratteristiche del suo tessuto economico-produttivo, rendano il territorio "appetibile" per le mafie provenienti da altre regioni.
In particolare, il fiorente panorama di piccole e medie imprese locali potrebbe rappresentare un canale ideale per attività di riciclaggio e reinvestimento di capitali illeciti da parte dei clan. L’Umbria non è tradizionalmente terra di origine di strutture mafiose autoctone, ma proprio questa assenza di radicamento storico può spingere le organizzazioni esterne a colonizzare silenziosamente l’economia locale.
Non si tratta solo di ipotesi o rischi teorici. Pregresse indagini condotte in Umbria hanno già "acclarato l’esistenza di proiezioni" della 'ndrangheta calabrese e della camorra campana, "infiltrate nel tessuto imprenditoriale locale". Ciò conferma una "presenza non trascurabile" in regione di soggetti legati a cosche esterne, soprattutto alle 'ndrine calabresi e a clan campani.
Negli ultimi anni diverse operazioni di polizia e inchieste giudiziarie hanno scoperchiato cellule mafiose attive sul territorio umbro. L’assenza di clan autoctoni non significa dunque che l’Umbria sia immune: al contrario, i clan "forestieri" tendono ad agire sotto traccia, stringendo legami con imprenditori compiacenti o attraverso prestanome, evitando manifestazioni eclatanti ma realizzando comunque affari illeciti milionari.
Proprio in vista di queste sfide, le istituzioni locali hanno alzato la guardia: già nel 2022 è stato siglato un "Protocollo d’Intesa tra la Prefettura e la Procura di Perugia" per rafforzare la prevenzione attraverso un monitoraggio congiunto dei flussi finanziari, "soprattutto sui fondi della ricostruzione 2016 e del PNRR".
Contestualmente, sono stati emanati provvedimenti di "interdittiva antimafia" contro imprese sospette, impedendo loro di partecipare a gare pubbliche qualora emergano collegamenti (anche indiretti) con ambienti mafiosi.
Tali misure preventive si affiancano al lavoro repressivo delle forze dell’ordine, nel tentativo di coniugare sviluppo economico e legalità: l’obiettivo è evitare che la "ricostruzione" diventi terreno di conquista per le cosche, assicurando che i finanziamenti pubblici vadano davvero a beneficio della collettività e non nelle tasche della criminalità organizzata.