05 Jul, 2025 - 15:28

L’Umbria dei grandi spiriti: santi, condottieri e intellettuali che ne hanno plasmato la storia

L’Umbria dei grandi spiriti: santi, condottieri e intellettuali che ne hanno plasmato la storia

Lasciatevi condurre in un viaggio nel cuore dell’Umbria, dove la storia non è soltanto scritta nei libri, ma scolpita nella pietra dei borghi, sussurrata tra le pieghe delle colline e viva nel carattere fiero e gentile della sua gente. Questa è una terra dove lo spirito ha avuto voce — potente, mistica, geniale — e ha saputo attraversare i secoli lasciando tracce indelebili. L’Umbria è molto più che uno scrigno di bellezza naturale: è un crocevia di anime straordinarie che, con la forza del pensiero, della fede o delle armi, ne hanno plasmato l’identità. Qui sono nati santi capaci di parlare al cuore dell’umanità intera, condottieri che hanno scritto pagine decisive della storia della regione e intellettuali che hanno acceso luci nuove nel pensiero europeo.

Camminando tra queste terre, vi accorgerete che ogni pietra, ogni silenzio, ogni panorama ha qualcosa da raccontare. È come se lo spirito di Francesco d’Assisi aleggiasse ancora tra gli ulivi, come se il passo deciso di Braccio Fortebraccio risuonasse tra le mura di Perugia, o come se le parole di San Benedetto si fondessero con il suono dell’acqua a Norcia. Ogni figura che incontrerete è parte viva di un patrimonio spirituale e culturale che continua a ispirare, a nutrire, a interrogare. Questa è l’Umbria dei grandi spiriti. Un luogo dove il tempo si è fatto pensiero, dove la spiritualità ha incontrato la forza, e dove l’intelligenza ha sempre camminato mano nella mano con la sensibilità. Preparatevi a scoprire volti, storie e visioni che hanno reso questa terra non solo culla della civiltà italiana, ma anche faro silenzioso di umanità e bellezza.

San Francesco d’Assisi – Il Santo che parlò con il creato

Immaginatevi ad Assisi, in un mattino terso, quando il silenzio sembra quasi pregare. È qui che si avverte, con chiarezza disarmante, la presenza viva di un’anima che ha attraversato i secoli senza mai smettere di parlare al cuore dell’umanità: quella di San Francesco.

Nato intorno al 1182, in una famiglia agiata, Francesco compì una delle scelte più radicali e potenti della storia spirituale occidentale: rinunciare a tutto per abbracciare la povertà, la semplicità e la fraternità. Non una rinuncia amara, ma un’apertura totale alla bellezza del mondo. Nel volto dei poveri, nel volo di un uccello, nel vento che accarezza i campi, egli scorgeva il riflesso del divino.

Nel suo celebre Cantico delle Creature – uno dei primi testi poetici in volgare italiano – Francesco non si limita a lodare il creato: lo abbraccia, gli parla, lo riconosce come parte viva della sua stessa esistenza. È un atto d’amore e di gratitudine che scavalca il tempo, facendosi oggi, più che mai, messaggio universale. In un’epoca segnata da fratture e distanza, il suo sguardo ci invita a riconnetterci: con la natura, con gli altri, con noi stessi.

Il suo cammino – spesso scalzo, leggero, silenzioso – non fu solo fisico, ma profondamente interiore. Dai vicoli di Assisi al verde solenne del Monte Subasio, passando per l’Eremo delle Carceri e i luoghi che ne custodiscono l’anima, ogni passo racconta una storia di pace e riconciliazione. Francesco parlava con gli animali, curava i lebbrosi, incontrava i potenti con umiltà disarmante. Eppure, la sua forza non risiedeva nella voce, ma nell’esempio.

Visitare l’Umbria sulle orme di Francesco significa lasciarsi alle spalle il frastuono del quotidiano per entrare in un tempo altro, più lento, più vero. È un viaggio che non riguarda soltanto lo spirito, ma tocca profondamente anche l’animo umano, riportandoci a ciò che spesso dimentichiamo: l’essenzialità delle cose semplici, la bellezza che si cela nei dettagli, la gioia autentica che nasce dal condividere, dal donare, dal sentirsi parte di qualcosa di più grande.

San Benedetto da Norcia – Il padre del monachesimo occidentale

In Umbria, ove l’aria sa di bosco e silenzio, e le pietre parlano di fede antica, la figura di San Benedetto da Norcia si staglia come una colonna luminosa della spiritualità europea. Nato intorno al 480, tra le montagne di Norcia e le valli di Subiaco, Benedetto scelse fin da giovane una strada controcorrente: lasciò Roma e i suoi studi per cercare solitudine e senso in un mondo che sentiva sempre più vuoto. E lo trovò... nel silenzio.

In quella grotta nel cuore del Monte Taleo, che ancora oggi vibra di raccoglimento, nacque qualcosa di straordinario: non solo un percorso personale di ascesi, ma una visione nuova del vivere insieme. Benedetto comprese che l’uomo non si salva da solo. Così, attorno alla sua figura si formarono comunità di fratelli, fondate su un equilibrio armonico fra la preghiera e il lavoro. Ora et labora — prega e lavora — divenne molto più di un motto: fu un atto rivoluzionario, un’idea di vita che univa spiritualità e quotidianità, cielo e terra.

La sua Regola, semplice e profondamente umana, parlava di misura, disciplina, ascolto e accoglienza. Non impose rinunce estreme, ma indicò una via di sobrietà, cura e rispetto per ogni aspetto della vita. Benedetto intuì che il tempo poteva essere sacro, se vissuto con intenzione. E i suoi monasteri divennero centri pulsanti di cultura, custodi di sapere, di arte, di memoria. Non solo luoghi di preghiera, ma laboratori del futuro.

Ancora oggi, in Umbria, le sue orme si sentono vive. I monasteri benedettini, come quello a Norcia — patria natale del santo — o il Sacro Speco di Subiaco, scolpito nella roccia, sono luoghi dove il silenzio diventa parola e la pietra conserva un battito millenario. Visitare questi spazi non è soltanto un viaggio culturale: è un pellegrinaggio interiore, un’occasione per rallentare, respirare profondamente, e tornare a ciò che conta davvero.

Ascanio della Corgna – Il condottiero umbro che sfidò l’Europa e lasciò un’eredità immortale

Ci sono figure che sembrano uscite da un romanzo epico, pronte a sfidare il proprio tempo con l’audacia del cuore e la visione della mente. Una di queste è senza dubbio Ascanio della Corgna, marchese di Castiglione del Lago, nato nel 1514 in una nobile famiglia legata a doppio filo alla storia del Trasimeno e dell’intera Umbria.

Condottiero rinascimentale nel senso più pieno e affascinante del termine, Ascanio fu stratega, maestro d’armi, ma anche raffinato umanista. Cresciuto tra la colta Perugia e la Roma papale, nipote del potente papa Giulio III, divenne una figura centrale negli equilibri politici e militari dell’Europa del XVI secolo. Fu al servizio dei più grandi: da Carlo V alla Serenissima, dal Re di Francia allo Stato Pontificio, distinguendosi sui campi di battaglia ma anche nelle corti, dove il sapere e l’eleganza erano parte integrante del potere.

Il suo nome è legato a imprese leggendarie. Tra tutte, il celebre duello di Pitigliano del 1546 contro un nobile fiorentino, combattuto di fronte a migliaia di spettatori: una prova di forza e coraggio che contribuì a forgiare il suo mito, e che oggi rivive negli affreschi spettacolari del Palazzo della Corgna a Castiglione del Lago. Un palazzo che volle come simbolo del proprio lignaggio e della propria visione: una dimora sontuosa, affrescata con episodi mitologici e trionfi militari, che unisce arte, architettura e orgoglio dinastico.

Ma Ascanio non fu solo spada. Fu mente lucida e spirito illuminato, capace di coniugare il senso della guerra con l’amore per la cultura. Uomo moderno ante litteram, amava i libri, la pittura, le scienze militari e il dibattito intellettuale. E fu proprio questa duplice anima a rendere il suo profilo tanto singolare quanto rappresentativo di un’Umbria colta, forte e raffinata.

Morì nel 1571, poco dopo la battaglia di Lepanto – a cui partecipò contribuendo con la sua esperienza militare alla vittoria cristiana –, e fu inizialmente sepolto a Roma. Ma l’Umbria non dimentica i suoi figli: nel 2025, dopo secoli di oblio, le sue spoglie sono tornate a Perugia, nella chiesa di San Francesco al Prato, luogo simbolico dove il ricordo ha trovato finalmente casa. Un ritorno che è più di un gesto simbolico: è il tributo a una figura che ha saputo incarnare il meglio di un’epoca di transizione, tra Medioevo e modernità.

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Francesco Mastrodicasa
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