Nella nuova puntata della rubrica letteraria che Tag24 Umbria dedicata agli autori e alle autrici del panorama regionale, abbiamo incontrato la nostra prima drammaturga, Silvia Imperi. Attrice, autrice e regista, ha consacrato la sua intera carriera alla ricerca sul femminile realizzando lavori complessi in cui ha raccontato le donne di varie epoche e le loro lotte. Ha all’attivo due libri, il primo è una ricerca sul mondo dell’artigianato che ancora oggi, a oltre dieci anni dalla prima pubblicazione, ha segnato un nuovo approccio nel modo di restituire e narrare il lavoro femminile. L’altro, di cui parla sempre con profonda emozione, l’ha scritto insieme a sua nonna materna. Personalità energica e poliedrica, Silvia Imperi è un’instancabile animatrice culturale, una professionista trasversale che non smette mai di generare proposte innovative e di grande spessore.

L’intervista a Silvia Imperi

Partiamo con la nostra domanda di rito. Che scrittrice ti senti?

Una scrittrice di genere, una scrittrice che esplora le storie, sia quelle umili che quelle più articolate“.

La scrittura è la colonna portante di tutto il tuo lavoro, perché sei sempre anzitutto autrice e poi regista dei tuoi lavori. Come è nata in te l’esigenza di raccontare storie?

Sicuramente con l’antropologia, che per me è stata la ragione che mi ha permesso di indagare perché è uno studio che ti porta a non fermarti, a non appassionarti mai della prima fonte. Da lì parte l’idea della comparazione che è necessaria per la drammaturgia dove bisogna sempre attingere a molte fonti per costruire un personaggio sotto i vari punti di vista: storiografico, psicologico, temporale. È un lavoro di immedesimazione che poi viene dal mio lavoro come attrice, che è stato il passaggio successivo che mi ha consentito di dare vita alla scrittura“.

Nella tua produzione letteraria l’aspetto prevalente è la ricerca. Anche nei tuoi lavori più “narrativi” la ricerca è l’esigenza primaria. Che differenza c’è secondo te tra drammaturgia e narrativa?

La drammaturgia nel mio caso è sempre stata abbinata alla regia. Permette, già durante l’atto della scrittura, di avere una visione dello spettatore e di ciò che vedrà in scena. Rispetto alla narrativa, il testo drammaturgico tende ad essere più ritmico, asciutto e sintetico. La narrativa ha bisogno di creare mondi e atmosfere solo con la scrittura che deve svilupparsi su più livelli, un’arte, a mio avviso, ancora più alta. La narrativa pura è qualcosa a cui ancora non mi sento approdata completamente“.

Silvia Imperi e la ricerca sull’universo donna

Parlavamo di ricerca, nel tuo caso è sempre declinata al femminile. Tutti i tuoi lavori ruotano attorno alle figure femminili. Il femminile che cosa rappresenta per te?

Una ricerca dell’origine. Il femminile per me è una ricerca sui condizionamenti nel tentativo di eviscerarli. Il femminile è lo spazio dove si possono soverchiare i bluff della cultura che hanno spesso relegato le donne a spazi conformi quando invece le donne sono sempre state capaci di abitare spazi difformi, fluidi, in continua trasformazione. Raccontare il femminile è un modo per testimoniarlo“.

Nel corso della tua carriera hai avuto modo di collaborare con una serie di figure di rilievo, penso ad esempio a Carla Arconte che è una storica. Tu e lei, anche in tempi recenti, avete dato vita a diversi lavori dove siete riuscire a portare alla luce delle storie di donne che altrimenti sarebbero state dimenticate. Penso al lavoro sul Beata Lucia di Narni e più indietro, a Di seta e di juta, lo spettacolo dedicato a Alma Gorreta e Carlotta Orientale, a cui a Terni è stata da poco dedicata anche una rotonda. Come si fa a trasporre queste ricerche, anche impegnative, in spettacoli?

La collaborazione con vari professionisti di altissimo livello è fondamentale perché mi ha permesso di avere una sicurezza altrimenti impensabile. Nello specifico la collaborazione con Carla mi ha portata ad approfondire molti aspetti, anche legati all’evoluzione della lingua. Averla al mio fianco è stata una grande crescita. Nella scrittura di queste storie seguo un metodo. Costruisco una linea del tempo dove fisso degli appuntamenti storici che poi entrano nella drammaturgia, avvenimenti che spesso sono legati a delle riforme o delle leggi che hanno determinato uno scatto per il mondo femminile. Penso alla legge sulla famiglia o alle riforme della scuola, visto che il lavoro di cura è sempre stato associato alle donne. Dopo cerco di trovare gli appuntamenti della storia del personaggio che racconto e faccio in modo che le due linee si compenetrino. Macrostoria e microstoria entrano in dialogo“.

Le due pubblicazioni: l’artigianato femminile e la storia emozionante della nonna materna

Il tuo esordio sulla carta stampata è avvenuto con un libro di ricerca I semi del sapere del 2012, che contiene una serie di interviste a donne che hanno scelto di fare le artigiane. Un libro che a distanza di oltre dieci anni continua a essere letto e ad avere successo. Parliamo meglio di questo tuo esordio che è molto ibrido tra saggio, ricerca e storia orale.

È stato un libro di ricerca dove grazie all’antropologia ho potuto fornire una lettura diversa del mondo dell’artigianato femminile perché è diventato un ragionamento su un prodotto emozionale più che su un prodotto artigianale. A me piaceva indagare il prodotto immateriale di queste artigiane, tutto quello che c’era dietro all’oggetto in sé. Il libro è stato classificato come etnografia organizzativa da Cristina Montesi, docente dell’Università degli Studi di Perugia che si occupa di economia orizzontale“.

Vorrei parlare del libro che hai scritto su e con tua nonna materna, Piena di sole, che è uscito per UVE – Umbria Volontariato Edizioni. Un libro di una delicatezza assoluta dove racconti, anche con documenti e foto dell’epoca, la storia di tua nonna che è stata a suo modo una pioniera dell’emancipazione femminile e che a te ha dato tantissimo. Com’è stato per te entrare in quel “mondo antico”?

È stato un privilegio. Ho avuto a che fare con la grazia e ho dovuto imparare a relazionarmici. Tutto il percorso di ricostruzione delle memorie, le lettere d’amore tra lei e mio nonno, il suo vissuto adolescenziale, le sue paure durante la guerra, la sua volontà di ribellione e la sua ghettizzazione, anche in famiglia: sono stati processi che hanno avuto bisogno di una grande grazia che non credo appartenga più alla cultura di oggi. Ho dovuto imparare quella grazia per avvicinarmi a lei come donna perché non era più mia nonna. È stato difficile da gestire emotivamente ma ancora adesso tante persone che lo leggono, instaurano un legame affettivo profondo con questo libro“.

Ultima domanda: progetti per il futuro?

A breve usciranno due nuovi documentari di cui ho curato la regia. Uno sulle maestre rurali di Narni, sempre con Carla Arconte, che si intitola Sette giorni d’inchiostro mentre l’altro è prodotto da Arto’, l’associazione di cui sono presidente, su Santa Teresa di Gesù Bambino e si chiama Sarò l’Amore…Sarà l’Amore“.

Nota biografica

Silvia Imperi, è nata a Terni. Laureata in antropologia culturale, si forma come agente di sviluppo locale e parallelamente come attrice alla scuola Mumos di Gastone Moschin e Marzia Ubaldi. Si è diplomata come arte terapeuta nella globalità dei linguaggi e lavora come attrice dal 2005 e regista dal 2010, anno in cui inizia a scrivere spettacoli di genere continuando come drammaturga. Fonda l’associazione Arto’ con cui si dedica anche a numerosi progetti. Ha pubblicato due libri, uno di saggistica I semi del sapere e uno di narrativa, Piena di sole. Oggi lavora come formatrice nel campo della pedagogia teatrale e del marketing utilizzando la scrittura e il linguaggio come elementi centrali di indagine.

La foto di Silvia Imperi è di Marco Palazzo.