Marta Bonucci è un’autrice che prima di approdare al romanzo, si è dedicata con successo ai racconti ed oltre ad essere la curatrice della rivista La Cattiva Novella. Con la sua opera d’esordio ha deciso di affrontare un tema notoriamente scomodo: il reinserimento sociale di un ex detenuto, costretto a misurarsi in maniera coatta con l’egoismo e la pigrizia di una società che giudica con fin troppa facilità. Osservatrice attenta dei meccanismi sociali, soprattutto quando questi si inceppano, Bonucci ha dato vito a una storia dove riecheggiano fatti di cronaca che ha saputo restituire in un’analisi ricca di sfaccettature. Dal micro al macro e viceversa, ha dipinto con “Terzo Piano” un mosaico complesso con cui ha passato al setaccio con disincanto le “conquiste” del benessere, volgendo con forza lo sguardo là dove normalmente si distoglie.

L’intervista a Marta Bonucci

Partiamo come sempre con la domanda di rito della nostra rubrica: che scrittrice ti senti?

Mi piace pensare a me stessa come al risultato delle mie letture. Credo che scrivere sia in buona parte un processo di emulazione, senza nulla togliere alla creatività o al talento“.

Magari facciamo qualche nome degli autori o delle autrici che ti hanno ispirata come narratrice.

Philip Roth su tutti e poi la letteratura americana degli anni recenti. “Terzo piano“, il mio romanzo d’esordio, si apre con una citazione di Malamud, uno scrittore ebreo americano, punto di riferimento anche per Roth“.

Tu prima di approdare al romanzo, ti sei dedicata ai racconti, una forma narrativa breve. Tra l’altro con ottimi riscontri, perché hai avuto piazzamenti sul podio in molti concorsi. Come è avvenuto il passaggio alla forma più lunga?

È stato un passaggio del tutto indolore e naturale, non me ne sono resa conto. Anche “Terzo piano” era nato come un racconto ma man mano che prendeva corpo, si è trasformato e ho dovuto prenderne consapevolezza. Anche in precedenza aveva tentato con il romanzo ma non era ancora giunto il momento“.

L’evento scatenante della narrazione è un’alluvione e non posso non pensare ai fatti di Valencia di questi giorni.

Volevo un’ambientazione che mettesse i personaggi in una situazione di grande paura, quella atavica. Le opzioni erano due: il terremoto oppure l’alluvione. Ho scelto la seconda perché ha una durata tale che mi consentiva più spazio narrativo. Il caso, o meglio, il cambiamento climatico, ha voluto che proprio mentre scrivevo si abbattesse l’alluvione sull’Emilia Romagna. Così ho deciso sarebbe stato un personaggio a tutti gli effetti e ho riscritto quelle parti“.

In questa rubrica facciamo molta attenzione anche al percorso che c’è prima della pubblicazione. Tu come sei arrivata al tuo editore, Scatole Parlanti?

Ho inviato il manoscritto a diversi editori, evitando accuratamente gli editori a pagamento. Tra le tante case editrici, c’era proprio Scatole Parlanti di cui avevo sentito parlare molto bene da chi aveva già pubblicato con loro“.

Il protagonista di “Terzo piano” è un ex carcerato. La riflessione su un universo parallelo

Tu in questo libro affronti un tema difficile dove in pochi si avventurano, che è quello del reinserimento di un detenuto, un ex anarchico che ha da poco finito di scontare la sua pena.

Quando stavo costruendo la storia, prima di arrivare al personaggio di Mauro, avevo in mente una figura emarginata nella società. Anche qui avevo due possibilità: lo straniero clandestino o l’ex detenuto, figure che personalmente non considero “scomode”, anche se la società tende ad additare come tali. La scelta è ricaduta su un ex galeotto, che si sarebbe portato addosso quell’etichetta. Il caso di Alfredo Cospito mi ha molto ispirata, anzi mi piacerebbe davvero riuscire a fargli avere il romanzo. Nel libro c’è il riferimento a una striscia di Zerocalcare pubblicata su Internazionale che per me è stata come un pugno allo stomaco, perché fornisce una prospettiva completamente diversa su chi è sottoposto al 41 bis, che è una misura in cui ricadono molti reati, non solo quelli di mafia. Zerocalcare parla dei condannati al carcere duro come di persone che ormai non sono più persone, marchiati indelebilmente, già condannati, prima ancora che dalla giustizia, dalla società che ha già deciso di “buttare via la chiave“.

Alla prima presentazione di Terzo piano, hai voluto con te i rappresentanti di un virtuoso progetto di economia carceraria, di cui abbiamo parlato anche noi, che è quello de “I Giudicabili” che si tiene presso la Casa Circondariale di Terni. Quindi ti chiedo, qual è il tuo rapporto con l’istituzione totale del carcere?

Il carcere è una sorta di mondo parallelo che la società tende ad ignorare. In occasione delle presentazioni più di una persona, anche fra coloro che hanno lavorato o fatto volontariato in carcere, mi ha chiesto se ci fossi stata o se conoscessi qualcuno dentro. Una domanda che mi ha fatto molto piacere perché in realtà non ho avuto questo tipo di esperienze“.

Prossimamente un premio al valore sociale di questo libro

Concludiamo con una domanda di buon auspicio: piani per il futuro?

Vorrei proseguire con nuove presentazioni. A breve, il 30 novembre, l’associazione Civiltà Laica di Terni mi conferirà il Premio Bruschini, intitolato alla memoria di Valerio Bruschini che ne è stato tra i fondatori. Un riconoscimento assegnato a chi con la scrittura ha dato vita a scritti che per ragioni storiche o sociali, si contraddistinguono. Per quanto riguarda la scrittura ho concluso un nuovo romanzo che sto inviando adesso alle case editrici e sto lavorando a una raccolta di racconti che è ancora in fase di gestazione”.

Nota biografica. Marta Bonucci è nata a Terni nel 1986. Laureata in Lettere e filosofia è giornalista, specializzata in energia e politiche per la sostenibilità. Di sé scrive; “Nel tempo libero mi dedico a racconti e romanzi. La mia opera prima si intitola “Terzo piano” (edito da Scatole Parlanti) che nella quarta di copertina viene descritto “un delicato inno all’empatia verso gli ultimi”. O almeno spero“.