Giovanni Capotombolo è l’autore di UVA, Una Vita Altrove, un romanzo che nel giro di poco è diventato l’inno della Generazione X. Per chi li ha vissuti, ci ricorda come erano gli anni Novanta in provincia e per chi invece se li è persi, c’è molto da scoprire e da ascoltare. Perché questo libro è un viaggio anche nella musica di quegli anni. Con ogni capitolo introdotto da un nuovo brano, UVA è la storia di tre amici che attraversano quel periodo e per cui la musica ha rappresentato molto più che un passatempo – un collante, un’ispirazione e un orizzonte di riferimento.

Da poco piazzatosi al primo posto per la narrativa edita al Premio Letterario Nazionale “Le Pietre di Anuaria”, abbiamo raggiunto l’autore di UVA per farci raccontare meglio come è nato questo libro che continua a suscitare entusiasmo, riconoscimento e, anche, una bella dose di nostalgia. Con lui abbiamo parlato di scrittura, di musica – ovviamente – che è la spina dorsale della sua storia e del senso di appartenenza. Di quell'”altrove” del titolo che c’è sempre, diventato ormai un sentimento, ben più di una semplice sensazione.

L’intervista a Giovanni Capotombolo

C’è una domanda di rito con cui partiamo in tutte le nostre interviste ed è: che scrittore ti senti?

Non mi sento uno scrittore. Mi sento un impiegato che ha la necessità di sublimare creativamente quello che ha dentro. Prima suonavo o facevo audiovisivi, ora ho trovato una soluzione valida nella scrittura“.

Una vita altrove è uscito ormai quasi un paio di anni fa, tra l’altro in una data simbolica perché era il primo maggio. A breve verrà ristampato e da poco hai vinto questo premio importante, segnali che confermano come stia continuando ad essere letto. Ci parli meglio di come sei arrivato alla pubblicazione?

Il libro è partito da lontano. L’idea c’era già da anni ed era quella di fare una cronistoria anche un po’ grottesca della scena musicale ternana di quegli anni. Avevo iniziato a raccontare una serie di episodi dove non c’era una trama vera e propria. Avevo scritto tanto e contavo di mandarlo a quella ventina di persone di cui parlavo. Poi, a un certo punto, mi sono rivolto a un agente per un editing leggero ed è stato un passaggio fondamentale. Una delle agenzie che l’avevano letto mi ha suggerito di provare a strutturare una storia che avesse anche un seguito e alla fine sono arrivato a scrivere quello che per me è un romanzo di formazione”.

E poi sei approdato a Dalia Edizioni con Roberta Argenti e Silvano Finistauri, editori indipendenti di Terni.

Sì, ci sono arrivato per contatto diretto. Roberta e Silvano sono stati molto pazienti con le numerose revisioni che ho fatto. Per loro era un salto nel buio ma siamo entrambi felici di come sono poi andate le cose“.

La scena musicale degli anni Novanta a Terni

Qual è il ruolo della musica in questo romanzo e di quell’altrove che gli dà il titolo?

La musica è ciò che fa trovare ai tre protagonisti una connessione e attraversa il 70 per cento della storia. Ma è una storia di amicizia che parla di quel rapporto delicato che si ha col luogo dove si nasce quando si lascia che rimane sempre presente sullo sfondo. È il racconto di quando non vedi l’ora di andartene, te ne vai ma ti senti a casa solo quando torni perché è lì che si ricompone il senso di appartenenza: è un libro che parla del rapporto che si ha con la propria città natale“.

Nominavi la scena musicale ternana degli anni Novanta che hai vissuto in prima persona e che ha detto cose importanti. Com’era quel periodo? E perché secondo te si è esaurito?

Sono d’accordo con te, quel periodo è finito. Oggi sembra non ci sia più l’esigenza di quello sfogo creativo nella musica ma il discorso sarebbe più da sociologi. Il ricordo di quegli anni è vivido. Non mi sono mai reputato un bravo musicista, suonavo per necessità. L’impressione che ho avuto è che i musicisti che animavano quella scena – anche i più bravi e ce ne sono stati, alcuni ancora in attività come gli UTO di cui parlo nel libro – nessuno di loro puntava al successo. Il successo era per tutti un complemento e come l’insuccesso, gravitavano entrambi lontano da quell’emisfero. C’era una grande connessione tra noi, ma anche con i gruppi di fuori. Erano anni di condivisione“.

UVA è la storia di quando non vedi l’ora di andartene, te ne vai ma ti senti a casa solo quando torni perché è lì che si ricompone il senso di appartenenza: è un libro che parla del rapporto che si ha con la propria città natale

L’equidistanza tanto dal successo quanto dall’insuccesso, un grande pregio ma forse anche quello che ha determinato l’esaurimento di quella vivacità.

“Ho conosciuto tanti musicisti ma mancava quella volontà di esportare il loro “prodotto”. Non c’era forse la voglia di guardare oltre ai confini della città. La musica per noi era il mezzo per trovare ognuno il proprio posto nel mondo. Ci bastava quello ed è bastato a musicisti anche molto più dotati di me. Vivo a Milano da quindici anni ormai e sono andato a vedere ogni tipo di concerto. Quello che posso dire è che la professionalità che avevano alcuni musicisti di quella scena a Terni trent’anni fa era notevole e non aveva nulla da invidiare a quella delle grandi città“.

Ogni capitolo di Una Vita Altrove si apre con un brano musicale. Se dovessi scegliere una sola canzone che incarna questo libro, quale sarebbe?

Forse una che non c’è nella playlist. Per istinto ti dico Frank Turner, The ballad of me and my friends, solo piano e voce“.

La copertina disegnata da Gipi

Ci racconti dell’illustrazione sulla copertina del tuo libro?

È un ricordo bellissimo che ho riportato quasi fedelmente nel libro. Era il giorno del mio compleanno, stavamo con Gipi in prossimità del palco da cui era in procinto di fare il reading de La mia vita disegnata male, ormai più dieci anni fa. Ero con questo mio caro amico che è quello che ha ispirato in buona parte la figura di Reeko nel romanzo. Lui è andato da Gipi con la copia un altro suo libro che parla di musicisti, Questa è la stanza, chiedendogli uno schizzo. Gipi lo fece dietro alla lettera che avevo messo dentro al libro quando l’avevo regalato al mio amico. Un fumetto che avrei veramente voluto regalare a tutti i musicisti che conosco“.

Hai nominato questa ventina di persone che popolano il tuo libro e che sono stati i tuoi compagni di quel periodo. Il tuo libro l’hanno letto tutti?

Sì, tutti. Ho fatto spedizioni in mezzo mondo. Sono quelle persone che hanno preso a morsi la vita, sempre alla ricerca di qualcosa che è lontano e che sono andati a prenderselo, appunto, altrove“.

Sul fronte scrittura, in questo momento cos’hai all’orizzonte?

Ho pronto un altro romanzo da quasi un anno e sono sicuro troverà un editore e poi ci sarà la premiazione in Campidoglio per UVA“.

Nota biografica. Giovanni Capotombolo è nato a Terni e vive a Milano. Dopo anni di grandi difficoltà a gestire il proprio peso specifico, ha finalmente imparato a galleggiare. Laureato in Cinema al DAMS di Bologna con una tesi sui Simpson, scrive su riviste e webzine di cinema, musica e fumetti. Per un breve periodo ha lavorato sui set audiovisivi come attrezzista e aiuto-scenografo. Per un periodo molto più esteso è stato musicista, DJ/speaker radiofonico e responsabile ufficio stampa di eventi culturali. È inoltre un pessimo golfista.