Ieri l’Assemblea legislativa dell’Umbria ha approvato la prima “Legge sulla famiglia“, andando ad emendare il Testo Unico in materia di Sanità e Servizi Sociali del 2015. Una legge la cui approvazione sta portando a nuove divisioni. Emblematico in questo senso il “No” dell’Assemblea legislativa al mondo dell’associazionismo che ieri ha seguito i lavori in aula e ai cui rappresentanti è stato impedito di prendere la parola prima della votazione. In una nota congiunta i consiglieri del Pd, Tommaso Bori, Simona Meloni, Michele Bettarelli e Fabio Paparelli, spiegano le ragioni della propria contrarietà a una “legge divisiva” che privilegia esclusivamente la famiglia tradizionale, giunta per di più a ridosso della campagna elettorale.

Bori: “Una legge partita male”

Già ieri, prima della votazione, Tommaso Bori aveva esordito dicendo “siamo partiti molto male, impedendo alle persone che sono qui oggi di confrontarsi con noi prima del voto. Concordo sul fatto che è stato fatto un lavoro incredibile, che però è privo di credibilità“. La legge sulla famiglia, scrivono i quattro consiglieri Pd, “rappresenta un’occasione mancata per dare all’Umbria un messaggio di unità e coesione della politica rispetto ad un tema centrale che dovrebbe unire e non dividere“.

Una legge carente dove mancano gli “elementi di maggiore apertura in termini di diritti” che “di fatto rappresenta un passo indietro rispetto al testo unico del 2015 in cui era stata riconosciuta centralità al termine famiglie e non solo alla cosiddetta famiglia tradizionalmente intesa“.

Il lavoro con il mondo dell’associazionismo: “Famiglie e non famiglia”

Eppure, riconoscono i consiglieri, qualche nota positiva c’è. “Grazie al lavoro svolto dal mondo delle associazioni per i diritti civili con cui abbiamo collaborato in questi mesi, l’impianto normativo approvato oggi – spiegano i consiglieri regionali del Pd – rappresenta un testo comunque migliorato per alcuni aspetti rispetto a quello previsto in prima stesura, fortemente intriso di temi ideologici“. La legge approvata ieri infatti, risale in prima stesura al 2020 ed è arrivata in aula dopo un complesso percorso.

Nonostante abbiamo presentato ben sette emendamenti – sostengono ancora i consiglieri del Pd – migliorativi e non certo ideologici sui temi della fertilità contro le discriminazioni e gli stereotipi, sui consultori, sui tempi di conciliazione tra lavoro, scuola e famiglia, sull’attenzione ai più fragili, sulla parità di genere nelle famiglie, sui servizi di mediazione familiare gratuita, sui familiari caregiver e sulla Consulta regionale per le famiglie, la maggioranza ha deciso di trincerarsi dietro le proprie posizioni preconcette“.

La riflessione riguarda anche l’utilizzo del linguaggio, che è sempre uno strumento fondamentale da cui può nascere l’inclusione e che nella nuova legge sulla famiglia torna invece a non esserlo. “Avevamo chiesto – prosegue la nota del Pd – inoltre che in tutti gli articoli venisse sostituita la parola ‘famiglia’ con ‘famiglie’, perché la società odierna ha imposto un cambiamento radicale: sono diverse le tipologie dei nuclei familiari sia per il progressivo invecchiamento della popolazione, sia per una frammentazione globale delle relazioni“.

Pd: “Una legge che non riconosce pari diritti a tutti i cittadini”

I consiglieri del Pd non hanno votato la legge sulla famiglia, pur riconoscendo l’importanza dei sostegni previsti che ammontano a 30 milioni. “Era necessario dare alla legge una visione più moderna e più inclusiva che tenesse conto di famiglie unipersonali, single, famiglie composte da un solo genitore e un figlio, famiglie ricostruite, formate successivamente a un precedente matrimonio, famiglie di fatto o unioni civili, conviventi non sposati” sostengono.

Tutte realtà che la maggioranza disconosce, negando la realtà. Cittadini e cittadine che questa destra ha impedito che venissero riconosciuti come destinatari di diritti. Una scelta sbagliata e antistorica che continueremo a contrastare in tutte le sedi concludono Meloni, Bori, Bettarelli e Paparelli .