Il lavoro cresce, ma non basta più per uscire dalla povertà. È il quadro drammatico emerso dai report congiunti presentati dall’Ufficio economia della Cgil Umbria e dalla Fondazione Di Vittorio, che analizzano lo stato dell’occupazione e dei salari nella regione. Il dato più emblematico: su 231mila lavoratori dipendenti umbri, oltre il 30% guadagna meno di 10mila euro lordi l’anno. Una cifra che non consente di condurre una vita dignitosa, e che fotografa una realtà di occupazione diffusa ma sempre più fragile.
"Salari molto bassi e lavoro precario: la situazione umbra è la cartina tornasole di un modello economico fallimentare", ha affermato Maria Rita Paggio, segretaria generale della Cgil Umbria, presentando l'elaborazione dei dati a Perugia. Accanto a lei, Francesco Sinopoli, presidente della Fondazione Di Vittorio, e Andrea Corpetti, segretario regionale Cgil, che hanno illustrato i contenuti di un’analisi che interroga non solo le politiche regionali, ma l’impianto nazionale delle riforme del lavoro degli ultimi vent’anni.
Il dato complessivo relativo al 2023 racconta di una regione con 231.325 lavoratori dipendenti e un salario lordo medio annuo di 20.993 euro. Ma questa media nasconde divari profondi. Solo il 39% ha un contratto full time, a tempo indeterminato e per l’intero anno, con un salario medio di 31.851 euro. Tutti gli altri - oltre 140mila persone - sono incastrati in formule contrattuali part time, discontinui o a termine. Tra questi, quasi 20mila lavoratori percepiscono circa 6.500 euro lordi l’anno, altri 31mila si fermano a 10mila euro. Più che retribuzioni, cifre da sussistenza.
La fascia d’età più penalizzata è quella sotto i 35 anni: oltre 70mila giovani con un salario medio di 15mila euro annui. Ma anche chi supera i 64 anni resta attivo nel mercato del lavoro, spesso per necessità, con 5mila persone ancora occupate e una retribuzione che difficilmente supera i 16.400 euro.
"I settori trainanti dell’occupazione, commercio, turismo, servizi, sono quelli a più basso valore aggiunto e offrono quasi esclusivamente contratti precari e retribuzioni insufficienti", ha spiegato Corpetti. A peggiorare il quadro, l’emorragia demografica e l’esodo giovanile: "I talenti se ne vanno, perché non trovano spazio né riconoscimento".
Il secondo studio, curato dalla Fondazione Di Vittorio, guarda agli ultimi dieci anni, quelli del Jobs Act. Nel 2024 gli occupati totali in Umbria sono 373mila, in aumento rispetto al 2019. Ma il miglioramento quantitativo non si traduce in un miglioramento qualitativo. Anzi: dal 2014 al 2024 i contratti a tempo determinato sono cresciuti del 37,2%, mentre gli indipendenti sono diminuiti del 2,8%. Le professioni più qualificate e quelle meno qualificate crescono insieme, segno di una polarizzazione sempre più netta.
"Non è stata la riforma del mercato del lavoro a spingere l’occupazione, ma le politiche pubbliche: bonus edilizi e fondi del Pnrr", ha sottolineato Sinopoli. E ha aggiunto: "L’Italia ha tra i salari più bassi d’Europa. Continuare a puntare sulla compressione del costo del lavoro è miope: serve innalzare le tutele e rilanciare il ruolo dell’impresa come motore di sviluppo attraverso investimenti in innovazione e qualità".
Anche l’industria regge, ma con fatica: nel 2024 segna +11,8% di occupati rispetto al 2019, ma con una frenata nel 2023. Le costruzioni hanno avuto un’impennata nel 2021, ora però mostrano segnali di rallentamento. L’agricoltura invece crolla, con un -37,5% in cinque anni.
"I dati che abbiamo presentato oggi dimostrano l’urgenza di un’inversione di rotta radicale", ha concluso Paggio. La Cgil rilancia così anche il senso politico dei referendum su lavoro e cittadinanza dell’8 e 9 giugno: "Bisogna correggere le distorsioni normative che hanno portato milioni di lavoratori italiani a vivere da poveri pur avendo un impiego. Non è solo una questione economica: è una questione di dignità".
Insomma, secondo la Cgil umbra, il lavoro non manca, ma manca quello buono. E senza lavoro buono, non c’è sviluppo che tenga.