Secondo un’elaborazione dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre, entro il 2035 l’Umbria potrebbe perdere oltre 47mila residenti in età lavorativa, registrando una flessione del 9% rispetto alla popolazione attuale compresa tra i 15 e i 64 anni. Il dato, che segna una delle peggiori performance a livello nazionale, porta la regione a un bivio storico, dove le dinamiche demografiche si intrecciano con le prospettive economiche e sociali dei prossimi anni.
Nel dettaglio, gli attuali 525.214 residenti umbri in età lavorativa potrebbero scendere a 477.888 entro il 2035. Una contrazione netta, che posiziona l’Umbria al decimo posto tra le regioni italiane con il calo percentuale più marcato. La flessione umbra supera sia la media nazionale, che si attesta al -7,8%, sia quella del Centro Italia, ferma al -7,1%. Una discesa silenziosa ma costante che ridisegna gli equilibri regionali e rende sempre più evidente il peso dell’inverno demografico sul cuore verde d’Italia.
Numeri alla mano, l’Umbria rischia di vedere compromessa la tenuta della sua base produttiva. La popolazione in età attiva rappresenta la spina dorsale di ogni sistema economico: meno lavoratori disponibili significa meno gettito fiscale, meno contributi previdenziali, meno consumi interni. E in un contesto già segnato da difficoltà occupazionali, questo trend può accentuare squilibri preesistenti.
Oltre 47mila potenziali lavoratori in meno significa un impatto diretto sulla capacità produttiva del territorio, sulla tenuta dei servizi pubblici, sul sistema previdenziale. Il dato della CGIA non fotografa solo un trend statistico, ma racconta un territorio che rischia di invecchiare rapidamente, con sempre meno giovani pronti a entrare nel mondo del lavoro. Il tema del ricambio generazionale si intreccia così a doppio filo con quello dell’occupazione e della sostenibilità del sistema locale.
L’Umbria, già oggi colpita da un saldo migratorio negativo e da tassi di natalità tra i più bassi del Paese, si trova a fronteggiare una sfida strutturale. Il rischio è che l’impoverimento demografico si trasformi in un vero e proprio freno alla crescita economica. Un fenomeno che non si limita ai numeri, ma si riflette anche nella qualità dei servizi e nell’organizzazione delle comunità locali.
Nel quadro già critico delineato dalla CGIA, spicca il caso di Terni. Secondo l’analisi, la provincia accuserà una contrazione dell’11,3% della popolazione in età lavorativa, una delle percentuali più alte d’Italia. Tradotto in numeri, si tratta di 14.824 residenti in meno nella fascia 15-64 anni. È il segnale di un territorio che, storicamente legato all’industria e già segnato da difficoltà occupazionali, si avvia verso una nuova fase di contrazione. Terni, secondo la classifica nazionale elaborata dalla CGIA, si piazza al 28° posto tra le province più colpite.
A incidere è anche l’assenza di politiche giovanili strutturate e l’attrattività limitata per i nuovi insediamenti produttivi. I giovani lasciano la provincia alla ricerca di opportunità altrove, mentre le nascite calano e la popolazione invecchia rapidamente.
Se a Terni l’emorragia è più rapida, anche Perugia non è immune al fenomeno. La provincia, che rappresenta il baricentro amministrativo e culturale della regione, potrebbe perdere 32.505 residenti in età lavorativa, con una flessione dell’8,2%. Un dato leggermente migliore rispetto alla media regionale, ma comunque lontano dai numeri considerati fisiologici. Perugia si trova così ad affrontare un rallentamento della forza lavoro che coinvolge tanto le aree urbane quanto i territori periferici, già segnati da spopolamento e declino dei servizi.
Nel capoluogo e nei centri minori si assiste a un progressivo svuotamento delle fasce giovani. Le imprese locali, soprattutto quelle di piccole dimensioni, rischiano di non trovare le competenze necessarie per innovare, crescere, esportare. E in un’economia regionale già fragile, la carenza di manodopera rischia di diventare un limite strutturale.