Dazi, crisi dell’automotive, dumping internazionale e un piano industriale - quello di AST - ancora da mettere a terra con la discussione su livelli occupazionali. È da queste parole d'ordine che si è mossa la riflessione dei circa 140 delegati dei metalmeccanici Fiom Cgil di Perugia e Terni, riuniti a Spoleto per analizzare lo stato di salute di un settore che in Umbria resta strategico ma oggi affronta sfide strutturali profonde. Al vertice, cui ha partecipato il segretario nazionale Michele De Palma, insieme ai segretari territoriali Enrico Bizzarri e Alessandro Rampiconi, il confronto è entrato nel merito delle difficoltà produttive, delle vertenze aperte e delle prospettive di mobilitazione. La richiesta dei metalmeccanici è chiara: servono investimenti industriali a lungo termine, non misure tampone o interventi orientati al riarmo.
“L’Italia ha bisogno di riscoprire il valore del lavoro industriale e di politiche pubbliche che sostengano l’industria civile, non quella bellica”, ha dichiarato De Palma, scandendo un messaggio politico e sociale che va oltre i confini regionali.
I numeri, forniti dagli stessi Bizzarri e Rampiconi, delineano un peso rilevante del comparto nella struttura economica regionale: circa 20 mila occupati e una rete di imprese che rappresenta oltre il 65 per cento dell’artigianato umbro. Eppure dietro la tenuta formale del settore si nasconde una crescente fragilità.
A Perugia, ha spiegato Bizzarri, la situazione è resa delicata da dinamiche che vanno ben oltre il confine amministrativo: “I dazi imposti da Trump, l’aggressività commerciale della Cina e la crisi dell’automotive - ha detto - stanno colpendo direttamente le nostre imprese. In più si registrano vertenze aperte e una massiccia espulsione di lavoratori interinali, con un calo generale dei volumi produttivi”.
A Terni, ha aggiunto Rampiconi, le difficoltà assumono un volto specifico: quello della siderurgia e dell’automotive. “Serve rimettere l’industria al centro delle politiche regionali, a partire dall’accordo di programma sull’Ast, di cui ancora manca di entrare nel dettaglio di piano industriale da discutere in concreto sui livelli occupazionali. Nei prossimi giorni dovremo riprendere il tavolo di discussione con la proprietà e il nuovo management. Sull’automotive, invece, pesa il disimpegno di Stellantis, che lascia in bilico circa mille lavoratori della filiera del tubo per motori termici, senza una concreta prospettiva di riconversione”, ha evidenziato.
La transizione imposta dall’Unione Europea con lo stop ai motori termici entro il 2035 si intreccia con le scelte di multinazionali che antepongono strategie di mercato a radicamenti territoriali. Il risultato è un territorio che rischia di trovarsi senza una visione industriale condivisa, proprio mentre servirebbero nuove politiche per rilanciare la manifattura e l’occupazione stabile.
Nel suo intervento, De Palma ha disegnato un quadro ampio, collegando la crisi industriale italiana alla assenza di una strategia europea coerente. “L’Unione Europea e il governo nazionale non stanno facendo abbastanza per sostenere l’industria del nostro Paese”, ha accusato, ricordando come i due comparti chiave - siderurgia e automotive - abbiano bisogno di risorse ingenti, orientate però alla produzione civile e all’innovazione green.
“Non servono soldi per riarmarci - ha insistito - ma per sostenere i lavoratori e il rilancio dell’industria civile”. Un messaggio che lega la mobilitazione sindacale per la pace a quella per la dignità del lavoro: “Non esiste qualità della vita né giustizia sociale in un mondo in guerra”.
Il segretario ha inoltre confermato la partecipazione della Fiom alla Marcia della Pace Perugia-Assisi e alla manifestazione nazionale del 25 ottobre a Roma, intitolata “Democrazia al lavoro”, organizzata dalla Cgil per chiedere aumenti salariali, una riforma fiscale equa e maggiori investimenti in sanità e scuola.
“La questione industriale è anche una questione di democrazia”, ha rimarcato De Palma, nel sottolineare come “il lavoro manifatturiero debba tornare centrale nelle politiche regionali e nazionali, altrimenti la disoccupazione e la precarietà continueranno a erodere il tessuto sociale”.
Alla conclusione del vertice, il messaggio condiviso dai delegati umbri è stato netto: senza piani industriali solidi e un impegno vero delle istituzioni, la regione rischia di perdere una delle sue colonne portanti. La metalmeccanica, per decenni motore di innovazione e inclusione sociale, oggi chiede risposte urgenti – in fabbrica come nelle sedi politiche.
“L’Umbria ha bisogno di riscoprire il proprio DNA industriale”, ha ribadito De Palma. È da lì che può ripartire una nuova stagione di lavoro, sviluppo e pace.