Matteo Falcinelli, il 26enne di Spoleto incaprettato e maltrattato dalla polizia di Miami lo scorso febbraio, è tornato in Italia. Il giovane, rientrato ieri dopo un calvario lungo mesi, ha raccontato le sofferenze fisiche e psicologiche subite durante e dopo l’arresto. “Sono sopravvissuto fisicamente, ma dentro di me non è rimasto nulla“, queste le prime parole dette dal ragazzo spoletino. Oltre alle ferite personali, Falcinelli deve ora affrontare questioni accademiche e legali ancora irrisolte, mentre la sua famiglia si prepara a chiedere giustizia per le violenze subite.

Le parole di Matteo Falcinelli al rientro in Italia

Matteo Falcinelli ha rotto il silenzio sulla drammatica vicenda che lo ha visto protagonista con dichiarazioni di forte impatto, rilasciate subito dopo il suo ritorno. Intervistato da Tgcom24, ha raccontato gli orribili momenti dell’arresto e le conseguenze sulla sua vita.

“Ricordo guardavo il soffitto, ed è come se la mia anima uscisse dal mio corpo. Io dico sempre che sono sopravvissuto magari fisicamente, non mi hanno ucciso, però dentro di me non è rimasto nulla. È lì che realizzi che in un certo senso la tua vita è cambiata per sempre.”

Durante l’arresto a Miami, Falcinelli fu immobilizzato con un metodo noto come “incaprettamento”, una pratica quasi sempre letale, la stessa utilizzata per George Floyd. “L’incaprettamento è una posizione altamente mortale” – spiega Falcinelli – “perché in 30 secondi c’è gente che è morta di asfissia, io ci sono rimasto 13 minuti”. Quella notte, ha confessato, pensò al suicidio come unica via d’uscita: “Aspettavo solamente il momento giusto, nel senso che mi venisse la forza di farlo.”

Il giovane umbro oggi punta il dito contro gli agenti di polizia, suoi carnefici in quella notte spaventosa, sottolineando come il trattamento subito fosse disumano. “Potevano arrestarmi senza trattarmi come un animale. Direi a quelle persone di pensare un attimo se quello che è successo a me magari fosse successo a un loro caro. A come avrebbero reagito”.

Il calvario in Florida: i fatti dell’arresto e le conseguenze

La vicenda di Matteo Falcinelli risale alla notte tra il 24 e il 25 febbraio 2024, a Miami. Il giovane si trovava in Florida per frequentare un master presso la Florida International University e stava cercando di recuperare i telefoni smarriti in un locale. La serata si trasformò in un incubo quando, dopo un diverbio, venne fermato dalla polizia e accusato di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale per aver toccato un agente.

La situazione degenerò rapidamente nella stazione di polizia di North Miami Beach: qui quattro agenti lo incaprettarono e gli tennero il ginocchio sulla gola per 13 minuti. Le immagini di quell’arresto, rese pubbliche solo a maggio, suscitarono indignazione a livello internazionale. Nonostante il superamento della messa alla prova gli abbia evitato il processo, le ripercussioni per Falcinelli sono state gravi. Sia a livello fisico che, soprattutto, psicologico. Come se non bastasse, gli Stati Uniti hanno revocato il suo visto rendendo necessario affrontare un lungo iter per riottenerlo.

Ora che è rientrato in Italia, Matteo Falcinelli deve fare i conti con un procedimento disciplinare avviato dall’università americana, che potrebbe compromettere il conseguimento della laurea. Nel frattempo la sua famiglia ha avviato una raccolta fondi per coprire le spese mediche e legali e ha dichiarato l’intenzione di intentare una causa civile contro i responsabili delle violenze. “Matteo è un ragazzo la cui vita è stata distrutta anche se è sopravvissuto fisicamente”, ha dichiarato la madre Vlasta Studenicova, chiedendo il sostegno delle istituzioni italiane per ottenere giustizia.

Incaprettamento: cos’è la tecnica utilizzata per Matteo Falcinelli e perché è vietata in molti stati

L’incaprettamento, noto negli Stati Uniti come “hog-tie”, è una tecnica di immobilizzazione utilizzata in alcune operazioni di polizia. Ma considerata da molti esperti come una forma di tortura pericolosa e disumana. Consiste nel legare mani e piedi dietro la schiena con una cintura o una corda, costringendo la persona in posizione prona. Questo metodo evoca immagini di pratiche barbare e, negli Stati Uniti, prende il nome dal trattamento riservato agli animali da allevamento prima della macellazione.

Nel caso di Matteo Falcinelli è stata utilizzata per 13 minuti, una durata sufficiente a causare gravi rischi per la salute. L’incaprettamento può infatti provocare asfissia posizionale, una condizione in cui la compressione del torace e delle vie respiratorie impedisce una corretta respirazione. Che è quello che ha portato alla morte di George Floyd nel 2020, evento che ha riacceso il dibattito sull’uso di tali pratiche, portando alcuni stati americani, come California e Washington, a vietarle. In molti altri stati, tra cui la Florida, la tecnica è però ancora ammessa.

Amnesty International ha più volte denunciato l’utilizzo dell’incaprettamento. Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana dell’organizzazione, ha definito questa pratica “un trattamento illegale e ingiustificato, privo di alcuna base di sicurezza, soprattutto quando la persona immobilizzata non rappresenta una minaccia immediata”. Nonostante i dati dimostrino la pericolosità della tecnica – con almeno venti decessi documentati negli Stati Uniti – continua ad essere applicata in alcuni contesti, sollevando interrogativi etici e giuridici sulle modalità di contenzione usate dalle forze dell’ordine.