Il dibattito sull’esposizione del crocifisso nella sala consiliare del Comune di Gubbio continua ad animare il confronto politico cittadino. Dopo l'approvazione in commissione della proposta presentata dal capogruppo di Rinascimento Eugubino Luigi Girlanda, è arrivata la durissima reazione del Partito Socialista e, a seguire, anche di Sinistra Italiana, che hanno criticato il voto favorevole del consigliere del Partito Democratico Marco Cardile e messo in discussione il valore stesso dell’iniziativa.
Ma a stretto giro è arrivata anche la replica puntuale e articolata di Luigi Girlanda, che — come riportato dal quotidiano online Vivo Gubbio, in un approfondimento a firma di Massimo Boccucci — ha risposto punto per punto alle accuse di chi, a suo dire, “usa la laicità come clava ideologica”.
Il professor Luigi Girlanda ha replicato in modo netto a quella che definisce una “nota tanto prevedibile quanto sconcertante” da parte dei Socialisti Eugubini, colpevoli — secondo lui — di travisare il significato della proposta.
“Si parla di violazione della laicità dello Stato e si invoca un dovere ideologico per chi si riconosce nei valori del progressismo. Ma la realtà è ben diversa", afferma Girlanda. "La giurisprudenza italiana ed europea ha chiarito in modo inequivocabile che il crocifisso non viola il principio di laicità.”
Girlanda cita infatti una serie di pronunce ufficiali, come quelle della Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte Costituzionale, e soprattutto la storica sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 18 marzo 2011 (caso Lautsi c. Italia), che stabilì che il crocifisso “non costituisce indottrinamento né viola i diritti dei genitori o degli alunni”, ma rappresenta un elemento culturale e identitario della civiltà europea.
Girlanda ha inoltre ricordato un precedente che coinvolge proprio il Partito Democratico:
“A Torino, nel 2016, fu il gruppo consiliare del Pd, con il sindaco Piero Fassino, a respingere la mozione che chiedeva di rimuovere il crocifisso dall’aula consiliare, ribadendone il valore simbolico e culturale. Anche la successiva giunta 5 Stelle, guidata da Chiara Appendino, non ritenne di rimuoverlo. Ancora oggi, nel 2025, la Sala Rossa conserva il crocifisso, a dimostrazione che si può amministrare una città moderna e pluralista senza rinnegare le proprie radici”.
Il passaggio più acceso della replica è quello in cui Girlanda critica il concetto di laicità utilizzato dai Socialisti, arrivando a coniare un gioco di parole destinato a far discutere:
“A chi si appella ossessivamente alla laicità dello Stato, ricordiamo che laico non è sinonimo di laido. Uno Stato che cancella i propri simboli religiosi e culturali per apparire neutrale non è laico: è laido.”
Girlanda accusa la sinistra di voler espellere la tradizione religiosa e culturale dallo spazio pubblico, e sostiene invece che la vera laicità consiste nel garantire libertà di espressione e rispetto per ciò che una comunità riconosce come fondante.
“Il crocifisso non impone nulla a nessuno, ma esprime un’eredità spirituale e morale che ha plasmato il nostro diritto, la nostra arte, il nostro concetto di persona e di dignità. Toglierlo non rende lo Stato più giusto: lo rende solo più povero.”
Girlanda chiude la sua prima replica con un attacco diretto al modo in cui – a suo dire – la sinistra gestisce il confronto democratico:
“Certa sinistra si dichiara democratica e tollerante solo finché le si dà ragione. Quando qualcuno dissente, scatta l’indignazione e il linciaggio verbale. Una volta si diceva ‘liberi e forti’, oggi sembrano solo 'permalosi e fragili'.”
E affonda: “Il Psi è abituato a trattare con il Pd posizioni di potere e tornaconto. Chissà perché, proprio adesso, il problema col Pd diventa il crocifisso”.
A distanza di poche ore dalla polemica sollevata dal PSI, anche Sinistra Italiana di Gubbio ha preso posizione, schierandosi contro la proposta di collocare il crocifisso in aula consiliare e criticando il voto favorevole del consigliere Cardile del Pd.
Girlanda non si è fatto attendere, replicando nuovamente con toni fermi:
“Colpisce l’indignazione selettiva e il maldestro tentativo di ergersi a custodi della Costituzione da parte del circolo di Sinistra Italiana. Spiace dover ricordare che la Costituzione italiana non vieta in alcun modo l’esposizione di simboli religiosi negli spazi pubblici.”
Girlanda chiarisce che l’articolo 7 della Costituzione parla di separazione tra Stato e Chiesa, ma non di cancellazione del fatto religioso dallo spazio pubblico.
“La sentenza della Corte Costituzionale n. 203 del 1989, tanto sbandierata dalla sinistra, non impone affatto l’eliminazione del crocifisso. La giurisprudenza successiva ha ribadito che il crocifisso è espressione della storia, della cultura e dell’identità italiana, non un’imposizione confessionale.”
Girlanda sottolinea che negare il simbolo in nome di una falsa neutralità equivale a “una rimozione della memoria collettiva”.
Rispondendo all’obiezione, spesso ripetuta, che ci siano “cose più importanti” di cui occuparsi, Girlanda ribatte:
“Con questo criterio non si dovrebbe deliberare più su nulla, perché ci sarà sempre un’emergenza più urgente. Ma chi ragiona così mostra fastidio per tutto ciò che riguarda la nostra identità profonda, rifugiandosi dietro l’alibi del pragmatismo ogni volta che si toccano temi simbolici.”
La polemica sul crocifisso nell’aula consiliare di Palazzo Pretorio a Gubbio è tutt’altro che conclusa. Da simbolo religioso, il crocifisso è diventato in questo contesto il catalizzatore di un dibattito più ampio: quello tra laicità e identità, tra modernità e tradizione, tra pluralismo e memoria condivisa.
Il confronto tra le posizioni di PSI e Sinistra Italiana e quelle di Luigi Girlanda evidenzia come la discussione, ben oltre l’aspetto simbolico, tocchi la concezione stessa di spazio pubblico e la sua relazione con la storia culturale del nostro Paese.
Come ha scritto Massimo Boccucci su Vivo Gubbio, “il crocifisso continua a far discutere perché continua a parlare. A ciascuno, nel silenzio del simbolo, dice qualcosa di diverso. Ma proprio per questo, toglierlo non sarebbe neutralità, ma amnesia”.
La proposta verrà discussa nei prossimi giorni in aula. E sarà il Consiglio comunale a dover scegliere: non solo se esporre un simbolo, ma quale idea di comunità voglia rappresentare.