Quando il Campanone comincia a suonare, Gubbio si ferma. E poi esplode. È un rito antico e sempre nuovo, una vibrazione che attraversa la pietra, sale nei muri, entra nei petti. E quest’anno, come ogni vigilia della Festa dei Ceri, la sera del 14 maggio, la “seconda sonata” ha scaldato la città e il mondo.
Migliaia di persone hanno gremito Piazza Grande, salendo sulle gradinate, stringendosi nei vicoli e nei cuori. Tutti con lo sguardo rivolto in alto, verso la torre campanaria del Palazzo dei Consoli, da dove i campanari eugubini, eredi di una tradizione secolare, hanno regalato due sonate “a festa”, i due tocchi solenni e intensi del Secondo Doppio del Campanone.
“Ogni volta che parte il Campanone, è come se tutta Gubbio respirasse insieme”, ha detto uno spettatore commosso. E davvero, dal primo rintocco si è sollevato un boato di gioia, seguito da un lungo applauso, che ha unito cittadini, turisti, ceraioli e visitatori arrivati da ogni parte del mondo.
Il Secondo Doppio del Campanone è una delle tradizioni più sentite della vigilia, una delle più potenti nel risvegliare l’anima della città. Si tratta di due sonate a festa, eseguite in sequenza a due tocchi ciascuna, con un ritmo che richiama lo spirito dei Ceri e anticipa le vibrazioni del 15 maggio.
Per i gubbini è più di un concerto di campane: è il segnale che tutto sta per cominciare, che il tempo si è fatto sacro, che la Festa entra nel suo spazio mistico e civile. È il respiro collettivo di una comunità, che saluta la sera con occhi lucidi e mani pronte ad applaudire.
Il suono del Campanone è arrivato anche alle orecchie degli ospiti internazionali, che nel pomeriggio erano stati ricevuti con tutti gli onori nella Sala Consiliare di Palazzo Pretorio, dal Sindaco Vittorio Fiorucci, dalla Giunta comunale e da numerose autorità cittadine.
Presente anche il sindaco di Thann, la città francese gemellata con Gubbio, Gilbert Stoeckel, con tanto di fascia tricolore francese, a sottolineare la profondità del legame tra le due comunità.
Delegazioni ufficiali sono arrivate da Francoforte, Lussemburgo, varie province della Francia, dalla Svizzera, dal Canada e soprattutto da Jessup, Pennsylvania, dove ogni anno, da oltre un secolo, si celebra una Festa dei Ceri “americana”.
“Non siamo turisti: siamo eugubini, anche se il nostro cuore batte dall’altra parte dell’oceano”, ha detto Michael Cappellini, storico amico della comunità eugubina, accanto a una rappresentanza che ha emozionato tutti.
In prima fila durante la sonata del Campanone c’erano i rappresentanti della Festa dei Ceri di Jessup 2025:
Gary Sebastinelli, Primo Capitano
Gene Stankoshy (Fanucci), Secondo Capitano
Jason Cerey, Capodieci del Cero di Sant’Ubaldo
Charles Breig, Capodieci del Cero di San Giorgio
Nick Lynady, Capodieci del Cero di Sant’Antonio
Accolti con grande affetto, i ceraioli di Jessup hanno testimoniato l’eredità viva che la comunità italiana ha saputo mantenere e trasmettere in terra americana. Ogni anno, in Pennsylvania, si rinnova una Festa che ricalca i gesti, i riti e i colori della tradizione eugubina, con lo stesso orgoglio e la stessa devozione.
“Siamo qui per rinnovare un legame che ci unisce da generazioni. Il suono del Campanone lo sentiamo anche a migliaia di chilometri, perché lo portiamo dentro”, ha dichiarato Jason Cerey con emozione.
Il ricevimento ufficiale si è svolto in atmosfera festosa, ma anche ricca di contenuto. Il Sindaco Fiorucci ha sottolineato l’importanza del gemellaggio con le comunità estere, che mantengono vivo lo spirito di Gubbio nel mondo:
“La Festa dei Ceri non è solo un evento cittadino: è un ponte tra le generazioni e tra i popoli. Le delegazioni internazionali ci ricordano che l’identità è una cosa viva, che sa attraversare i confini e diventare dono”, ha detto il primo cittadino.
Foto ufficiali, scambi di doni, strette di mano e, soprattutto, storie di ritorni e di appartenenza hanno segnato un pomeriggio che è stato preludio perfetto alla serata del Campanone.
Quando le luci hanno cominciato a calare, la piazza ha cominciato a riempirsi. Famiglie intere, gruppi di turisti, eugubini emigrati rientrati per l’occasione: tutti in attesa, tutti con il fiato sospeso.
Poi, i campanari hanno fatto vibrare le corde. Dalla torre di Palazzo dei Consoli, è partita la prima sonata, seguita da un’esplosione di applausi, urla e canti.
“Il Campanone suona come se parlasse”, ha detto un bambino sulle spalle del padre. E davvero, parlava: di attesa, di memoria, di gioia condivisa.
Poi la seconda sonata. Ancora più intensa. Come a chiudere il cerchio, come a dire: “ci siamo, domani è il giorno”.
Il 14 maggio 2025 resterà scolpito nei ricordi come una delle vigilie più partecipate e sentite degli ultimi anni. Complice il tempo sereno, ma soprattutto il calore della gente, Piazza Grande è stata un mare di voci e abbracci, anticipazione perfetta della grande ondata emotiva del 15.
E mentre i campanoni tacevano e la notte calava, molti si sono fermati ancora un poco, con lo sguardo rivolto alle pietre del Palazzo e il pensiero già alla Festa che stava per cominciare.
Il Campanone di Gubbio, anche quest’anno, ha unito il passato e il presente, il centro e la diaspora, la pietra e la voce. Ha parlato a chi era in piazza e a chi è venuto da lontano, a chi tornerà e a chi resterà.
In quel doppio suono che chiama la città alla Festa, c’è tutto: la storia, la fede, l’appartenenza, l’identità. E c’è anche il futuro, fatto di mani che hanno accarezzato il Campanone e di cuori che non hanno mai smesso di battere per Gubbio.