"I Ceri non si fermano". È una delle regole non scritte, ma scolpite nella pietra della tradizione eugubina. Una regola che ha trovato giovedì 15 maggio, un’applicazione drammatica e implacabile. Durante la tradizionale Corsa dei Ceri, lungo il tratto di Via XX Settembre, il Cero di Sant’Ubaldo è improvvisamente caduto, travolgendo due donne che stavano osservando l’evento. Una delle due, un’italoamericana, ha riportato fratture multiple.
L’episodio si è verificato poco prima del Vescovato, in un punto della corsa dove la spinta emotiva e fisica dei ceraioli è spesso al massimo. Le due donne, entrambe appartenenti alla famiglia dei santantoniari, stavano seguendo con entusiasmo il passaggio dei Ceri. L’impatto del cero caduto ha causato un attimo di gelo tra la folla e nella muta compostezza dei ceraioli.
"Una delle due donne ha riportato diverse fratture", riferiscono i primi soccorritori. Entrambe sono state prontamente assistite dal personale delle ambulanze accorse sul posto, che ha provveduto al trasporto verso l’ospedale di Branca per gli accertamenti e le cure necessarie.
Nonostante lo sconcerto del pubblico, la corsa è ripresa. Il Cero, sollevato con decisione, ha continuato la sua ascesa. È qui che la tradizione si mostra in tutta la sua durezza e potenza. "I Ceri non si fermano". Una regola dura da comprendere per chi guarda da fuori, ma sacra per chi la vive da dentro.
Chi scrive non può fare a meno di ricordare un episodio della metà degli anni Ottanta: lungo il Corso, un turista si era attardato in mezzo alla strada per riprendere i Ceri in arrivo. Male calcolò le distanze. Venne travolto e finì sotto i piedi dei ceraioli di tutti e tre i Ceri. Se la cavò con qualche escoriazione e contusione. Ma ciò che resta è l’immagine di una corsa che non ammette esitazioni.
Ancora più drammatico fu un episodio accaduto negli anni Sessanta. Una troupe della Rai stava seguendo la salita dei Ceri al Monte da un’autovettura scoperta. La strada imbrecciata, l’entusiasmo della folla, l’urgenza delle riprese: fu un attimo. L’auto sbandò, fece testacoda e si mise di traverso sulla carreggiata, proprio mentre i Ceri salivano.
Il conducente, paralizzato dal panico, non riuscì a far ripartire il veicolo. I ceraioli, pur di non infrangere il codice non scritto della corsa, spinsero l’automobile fuori strada con l’autista ancora dentro. L’auto rischiò di precipitare lungo l’erto declivio. "Per fortuna non ci furono feriti, solo il ricovero in ospedale del conducente dell'autovettura in stato di shock", ricordano i più anziani.
La Corsa dei Ceri non è esattamente un evento folcloristico. È un mistero che si rinnova, una passione che annulla il tempo. Ma è anche un rituale che non ammette sospensioni. Non si ferma per la pioggia, per il caldo, per un infortunio. Non si fermò nel 1944 per i rastrellamenti tedeschi durante l'occupazione. E ieri non si è fermata neanche per due donne finite sotto il Cero.
Una dei siti più cliccati del web, Dagospia, il quotidiano online di "Politica, Economia, Media e Tv, Cronaca, Sport, Cafonal, Video, Viaggi e Salute" diretto da Roberto D'Agostino, ha rilanciato l’episodio con grande evidenza, portando Gubbio agli occhi del mondo. Ha scherzato un po' sul nome, titolando: "Sono matti, non c'è ombra di Gubbio". Una frase che non deve essere andata molto a genio agli eugubini, molto sensibili quando si scherza sul nome della loro città... Ma il giornale di D'Agostino lo ha fatto forse senza cogliere appieno il senso profondo di quella corsa che, agli occhi esterni, può apparire crudele. Eppure, è proprio in quella inesorabilità che vive il suo significato più autentico.
Sarà ora la città, con il suo spirito antico, a farsi carico della riflessione. Non sulla colpa — perché nella Corsa dei Ceri non c’è spazio per la colpa — ma sul significato. Perché ogni caduta, ogni ferita, ogni ripartenza è parte del sacrificio collettivo che ogni anno, da secoli, si compie sulle strade di Gubbio.
"I Ceri non si fermano". Ma forse, almeno per un attimo, possiamo fermarci noi. A pensare. A guardare. A ricordare.