16 Nov, 2025 - 13:10

Gubbio, il nuovo arredo dei giardini ottocenteschi crea una dissonanza visiva

Gubbio, il nuovo arredo dei giardini ottocenteschi crea una dissonanza visiva

Il problema non è il progetto, ma gli accostamenti

 

Un luogo storico che parla una lingua antica

I giardini pubblici di Gubbio, nati alla fine del XIX secolo, sono uno dei rari esempi cittadini in cui natura, architettura e gusto eclettico ottocentesco si intrecciano in un’unica narrazione urbana. Le panchine realizzate con composti di “scoglio”, le aiuole perimetrate da pietre irregolari, i viali chiari con breccino e le alberature d’alto fusto hanno sempre offerto un’armonia sobria ma riconoscibile, tipica dei giardini di impianto tardo-romantico.

In questo contesto così sedimentato, ogni nuovo intervento — anche il più tecnicamente valido — dovrebbe dialogare con la forma mentis del luogo. E invece oggi, passeggiando tra le aiuole, ciò che si avverte è una sorta di brusco cambio di registro.

Sedute contemporanee in un quadro ottocentesco

Le foto scattate nei giardini (si vedono le nuove sedute parallelepipede color ocra, con angoli smussati e senza schienale) raccontano bene la discrasia: l’elemento moderno, dalla forma rigida e levigata, è collocato a brevissima distanza da pietre naturali e murature storiche di gusto rustico.

Il contrasto non è solo formale: è narrativo.

L’oggetto contemporaneo non parla la stessa lingua del suo intorno. Non rimanda a nessun codice estetico ottocentesco, né restituisce la morbidezza dei materiali naturali presenti da sempre nel giardino. È come se un elemento disegnato per una piazza minimalista fosse stato inserito, senza preavviso, in un quadro romantico.

In altre parole: il nuovo non “stona” in sé, stona lì.

Non è una critica al progetto, ma alla sensibilità dell’accostamento

Nell’affrontare il tema dell’arredo urbano, è fondamentale distinguere tra la qualità intrinseca di un oggetto e la sua collocazione in un contesto vincolato o storicizzato. L’articolo di oggi non intende contestare la bontà del progetto nel suo complesso, né mettere in discussione la necessità di aggiornare i servizi, la percorribilità, la fruibilità.

Il punto è un altro.

Ciò che appare carente è la sensibilità nell’accostare il nuovo all’antico, in un luogo che non è un contenitore neutro, ma un bene culturale di insieme.

In un contesto così caratterizzato, inserire un elemento neutro-contemporaneo significa interrompere il flusso visivo che il visitatore percepisce anche senza saperne nulla di storia dell’arte o architettura. Una panchina moderna può essere splendida in uno spazio nato moderno; ma se posta accanto a pietre grezze ottocentesche — come si vede nella foto — genera un corto circuito estetico difficile da ignorare.

Il problema della “narrazione spezzata”

Ogni giardino storico racconta una storia attraverso:

– materiali
– cromie
– forme
– proporzioni
– texture

Cambiare uno solo di questi elementi può essere sostenibile. Cambiarne molti insieme, e senza una mediazione stilistica, rischia di generare una discontinuità.

La superficie chiara compatta che ha sostituito il breccino ottocentesco, unita alle sedute dalle linee nette, produce un effetto visivo omogeneo, quasi artificiale, che contrasta bruscamente con la matericità irregolare del perimetro delle aiuole. Nella foto è evidente: la panchina contemporanea sembra “appoggiata” su un fondale che non la riconosce.

L’impressione finale è quella di una narrazione interrotta, come se una pagina moderna fosse stata incollata in mezzo a un manoscritto antico senza nessun raccordo.

Perché il dialogo tra epoche conta

La tutela dei beni culturali d’insieme non è nostalgia, ma coerenza visiva. Ogni città vive — deve vivere — trasformazioni, aggiornamenti, innovazioni. Ma in un luogo come i giardini pubblici di Gubbio la chiave dovrebbe sempre essere il dialogo.

Quando nuovo e antico si incontrano senza ascoltarsi, l’effetto è una dissonanza involontaria.

Quando invece si crea una relazione — attraverso materiali che rimandano alla pietra, colori che richiamano quelli delle sedute storiche, forme che si ispirano alla morbidezza del contesto — il risultato è armonia, non imitazione.

Perché innovare non significa cancellare: significa continuare la storia.

Il paesaggio urbano: un libro aperto

L’episodio dei giardini pubblici di Gubbio può essere un’occasione preziosa per riflettere su come intervenire nei luoghi storici senza alterarne la voce. La città merita che nuovo e antico si incontrino con rispetto, con sensibilità, con ascolto.

Non si tratta di criticare un progetto.
Si tratta di chiedere che il paesaggio urbano sia trattato come un libro aperto, dove ogni pagina aggiunta non cancelli, ma arricchisca, quelle precedenti.

Una città vive davvero quando i suoi spazi raccontano la stessa storia, anche a distanza di secoli.

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Mario Farneti
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