Una storia di tensione familiare che sfocia in atti persecutori. E stavolta, il protagonista è un giovanissimo. Gubbio finisce sotto i riflettori per un episodio che solleva interrogativi profondi sul disagio giovanile, sulla tenuta dei rapporti familiari e sull’efficacia delle misure cautelari. Nei giorni scorsi, i Carabinieri hanno arrestato un ragazzo di 19 anni che da tempo perseguitava i propri genitori, già tutelati da un provvedimento di divieto di avvicinamento. Nonostante il braccialetto elettronico, il giovane ha più volte infranto le disposizioni, rendendosi responsabile di continue incursioni nei pressi dell’abitazione di famiglia.
L’ultimo episodio si è verificato pochi giorni fa, quando il padre del ragazzo lo ha notato a pochi metri da casa. Con lucidità e sangue freddo, ha immediatamente contattato il 112. I Carabinieri della Compagnia di Gubbio sono intervenuti prontamente, riuscendo a fermare il diciannovenne mentre tentava la fuga. La sua condotta ha fatto scattare l’arresto in flagranza.
A disporre l’arresto è stato il magistrato di turno della Procura della Repubblica di Perugia. Il giovane è stato sottoposto a giudizio direttissimo presso il Tribunale di Perugia, dove il giudice ha convalidato il fermo e disposto una nuova misura cautelare: l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Vista la gravità e la reiterazione dei comportamenti persecutori, i militari hanno proposto un aggravamento della misura. La richiesta è stata accolta, e il ragazzo è stato trasferito nel carcere di Perugia-Capanne.
Episodi analoghi stanno diventando sempre più frequenti in Umbria e nel resto del Paese, segnalando un’escalation di violenza all’interno del nucleo familiare. Un altro episodio inquietante si è verificato pochi giorni fa a Perugia, ma con i ruoli invertiti. In quel caso, una donna di 37 anni ha denunciato i propri genitori per maltrattamenti sistematici, sia fisici che psicologici.
Secondo quanto emerso in aula, la donna aveva accolto i genitori nella propria casa, ma presto era iniziato l’incubo: isolamento, controllo economico (ridotta a vivere con appena 80 euro al mese), giudizi continui sulla sua vita privata, fino ad arrivare a vere e proprie minacce fisiche. In una circostanza, la donna è stata minacciata con un oggetto appuntito alla gola. A supportare le sue accuse, anche una lunga serie di messaggi WhatsApp dal contenuto offensivo e minaccioso. I due si erano spinti a seguirla sul posto di lavoro, all’ospedale, per controllarla e minacciarla. Il tribunale, con sentenza firmata dal giudice Simona Di Maria, ha condannato i genitori a due anni di reclusione, con pena sospesa. Un provvedimento che dimostra quanto la giustizia stia cercando di rispondere con fermezza a una problematica tanto delicata quanto diffusa.
Il caso di Gubbio rientra pienamente nell’ambito della violazione delle misure cautelari e del reato di atti persecutori, comunemente noti come stalking, previsto dall’articolo 612-bis del Codice Penale. La norma punisce chiunque, con condotte reiterate, minacci o molesti qualcuno in modo tale da cagionargli un grave stato d’ansia o di paura, ovvero da costringerlo ad alterare le proprie abitudini di vita.
Nel caso specifico, il ragazzo aveva già ricevuto una misura cautelare con applicazione del braccialetto elettronico, che indica la pericolosità delle sue azioni e la necessità di tutelare le vittime. La violazione del divieto di avvicinamento, unita alla reiterazione delle condotte persecutorie, costituisce un’aggravante. Il Codice prevede per il reato di stalking una pena detentiva che va da uno a sei anni e sei mesi, con possibilità di aggravamenti qualora le vittime siano familiari, come in questo caso.
Inoltre, l’inosservanza delle misure cautelari può comportare, come è avvenuto, l’aggravamento della misura stessa fino alla custodia cautelare in carcere, come previsto dall’articolo 276 c.p.p. Il giudice può adottare questa decisione anche in assenza di nuovi fatti di reato, ma sulla base della pericolosità sociale del soggetto e dell’inefficacia delle precedenti misure.
Nel processo a carico del giovane, saranno determinanti le testimonianze dei genitori, eventuali referti medici, i tabulati del braccialetto elettronico e le segnalazioni pregresse. L'autorità giudiziaria dovrà accertare la sussistenza della condotta persecutoria, la sua reiterazione e l'effetto psicologico sulle vittime. A seconda dell’esito, il diciannovenne rischia una condanna penale e un’eventuale permanenza prolungata in carcere, oltre all’avvio di un percorso di riabilitazione o supporto psicologico, spesso suggerito nei casi di violenza intrafamiliare.