11 Sep, 2025 - 18:00

Gubbio, 11 settembre 1194: la traslazione di Sant’Ubaldo sul Monte Ingino. Oggi la solennità con il vescovo Paolucci Bedini

Gubbio, 11 settembre 1194: la traslazione di Sant’Ubaldo sul Monte Ingino. Oggi la solennità con il vescovo Paolucci Bedini

L’11 settembre 1194 rimane inciso come una delle date fondamentali della storia ubaldiana. In quel giorno il corpo di Sant’Ubaldo Baldassini, vescovo e patrono di Gubbio, fu traslato dalla cattedrale cittadina alla nuova basilica edificata sul Monte Ingino, poco sopra la piccola chiesa di San Gervasio, che durante la vita del santo era stata il suo luogo prediletto di meditazione e preghiera.

Un avvenimento che la comunità eugubina celebra con rinnovata devozione e che quest’anno, a partire dalle ore 17, vedrà il vescovo Luciano Paolucci Bedini presiedere la solenne liturgia nella basilica sul monte.

Dopo la canonizzazione: la decisione del vescovo Bentivoglio

Dopo la bolla di canonizzazione di Papa Celestino II, la città di Gubbio attese il momento opportuno per dare una nuova dimora al corpo del suo pastore. L’occasione arrivò sotto l’episcopato di Bentivoglio, successore di Ubaldo, che decise di trasferire le reliquie del santo verso una chiesetta edificata nei pressi della pieve di San Gervasio, poco al di sotto della rocca che dominava l’Ingino.

Secondo la tradizione, fu lo stesso Sant’Ubaldo ad apparire in sogno al vescovo, indicando le modalità con cui la traslazione doveva avvenire: «Indirete un digiuno cittadino di tre giorni, poi porrete il mio corpo su un carro trainato da giovenchi indomiti: dove essi si fermeranno, lì sarà la mia dimora».

Il miracolo dei giovenchi e gli olmi germogliati

La leggenda popolare racconta che, obbedendo alla richiesta, il corpo del santo fu posto su un carro e i giovenchi furono lasciati liberi di avanzare. Gli animali imboccarono la via che conduceva al monte e si fermarono proprio presso la chiesa di San Gervasio, luogo tanto caro al vescovo durante la sua vita terrena.

I due rami utilizzati per stimolare i giovenchi, piantati in terra in quel punto, germogliarono miracolosamente dando origine a due splendidi olmi. Un segno interpretato dagli eugubini come conferma della provvidenza divina e della scelta del patrono.

Da allora il Monte Ingino divenne il “Colle eletto dal Beato Ubaldo”, come lo ricorderà secoli dopo Dante Alighieri nell’undicesimo canto del Paradiso.

Una presenza rimasta sul monte

Dal lontano 1194 il corpo di Sant’Ubaldo non ha mai lasciato stabilmente la sua basilica sul Monte Ingino. Solo in cinque circostanze eccezionali le spoglie sono state riportate in città, sempre per eventi di straordinaria importanza religiosa o civile:

  • Agosto 1919, con il vescovo Carlo Taccetti, per la fine della prima guerra mondiale e come segno di gratitudine a Sant’Ubaldo che «accompagnò i figli sulla cima delle Alpi»;

  • Settembre 1929, con il vescovo Pio Navarra, per l’ottavo centenario della consacrazione di Ubaldo a vescovo di Gubbio (1129);

  • Maggio 1960, con il vescovo Beniamino Ubaldi, per l’ottocentenario della morte del santo;

  • Settembre 1986, con il vescovo Ennio Antonelli, per il nono centenario della nascita;

  • Settembre 1994, con il vescovo Pietro Bottaccioli, in ricordo dell’ottavo centenario della traslazione.

Questi momenti straordinari hanno rafforzato il legame tra la città e il suo patrono, rinnovando un rito di devozione che non conosce incrinature.

San Gervasio, il luogo amato dal santo

Non è un caso che i giovenchi si siano fermati proprio presso San Gervasio. Durante la sua vita, Sant’Ubaldo prediligeva infatti quella piccola chiesa come luogo di ritiro e meditazione.

La scelta del monte non fu quindi casuale, ma radicata nella stessa esperienza spirituale del vescovo eugubino, che amava ritirarsi lontano dal frastuono della città per dedicarsi alla preghiera silenziosa.

Quel piccolo oratorio divenne così il seme della grande basilica che ancora oggi custodisce le sue spoglie e rappresenta il cuore della devozione ubaldiana.

La celebrazione di oggi

La memoria della traslazione non è un semplice ricordo storico, ma una festa viva e partecipata. Quest’anno, la liturgia solenne sarà celebrata dal vescovo Luciano Paolucci Bedini alle ore 17 nella basilica sul Monte Ingino.

Un appuntamento che vedrà la presenza di autorità civili e religiose, confraternite e fedeli, tutti uniti nel rendere omaggio al patrono della città e nell’attualizzare il suo messaggio di pace e unità.

Il Cammino di Sant’Ubaldo

La ricorrenza di quest’anno è anche l’occasione per guardare al futuro. Sotto l’urna con le spoglie del santo è stato infatti firmato il protocollo d’intesa per la valorizzazione turistica e spirituale del Cammino di Sant’Ubaldo, iniziativa promossa da Comune e Diocesi.

L’obiettivo è quello di creare un itinerario che rievoca i percorsi compiuti dal vescovo Ubaldo Baldassini tra Umbria e Marche, unendo la dimensione spirituale a quella turistica e culturale.

Il progetto si inserisce in un contesto più ampio di valorizzazione dei cammini religiosi, che in Umbria trovano già esempi importanti come il Cammino di San Francesco e la Via di San Benedetto.

Sant’Ubaldo tra storia e leggenda

Figura centrale per la città dei Ceri e non solo, Sant’Ubaldo ha lasciato un segno indelebile nella storia religiosa, civile e culturale dell’Umbria medievale. La sua capacità di unire il popolo, di pacificare le discordie e di incarnare uno stile di vita semplice e coerente, lo hanno reso patrono amatissimo non solo a Gubbio, ma in tante comunità del mondo dove la sua devozione è stata esportata dagli emigranti eugubini.

La traslazione del 1194 non fu solo un gesto di pietà, ma l’inizio di una tradizione che ancora oggi scandisce l’identità di un’intera città.

La voce dei fedeli

Nelle parole dei fedeli eugubini si avverte la forza della tradizione: «Sant’Ubaldo non è solo un patrono, è un compagno di vita. È colui che ci guida, ci protegge e ci ricorda che l’unione fa la forza».

Il riferimento costante al santo emerge non solo nella grande festa dei Ceri del 15 maggio, ma in ogni celebrazione dell’anno liturgico, fino a questa ricorrenza dell’11 settembre che ne conferma il ruolo di faro spirituale.

Una tradizione che parla al presente

Se nel 1194 i giovenchi si fermarono davanti a San Gervasio e i rami piantati germogliarono, oggi la città si ferma per riflettere sul significato di quel gesto.

La traslazione richiama infatti il senso di un popolo che affida la propria storia e il proprio futuro a un patrono riconosciuto non solo come figura religiosa, ma come simbolo di identità collettiva.

Un messaggio che conserva intatta la sua attualità. Così come i rami degli olmi continuarono a crescere sul monte, anche la memoria di Sant’Ubaldo continua a germogliare nel cuore degli eugubini.

Un percorso che unisce Gubbio al suo Patrono

L’11 settembre 1194 segna dunque non solo una data storica, ma l’inizio di un percorso che unisce Gubbio al suo patrono in modo indissolubile.

Oggi, a più di otto secoli di distanza, quella traslazione continua a parlare alla città e ai pellegrini che salgono sul Monte Ingino, ricordando che la fede, la tradizione e la comunità sono radici profonde, capaci di resistere al tempo e di rigenerarsi continuamente.

Sant’Ubaldo rimane, per gli eugubini e per tutti coloro che lo invocano, il “santo della pace”, colui che scelse il suo colle e che da lì, ancora oggi, veglia sulla città.

AUTORE
foto autore
Mario Farneti
condividi sui social
condividi su facebook condividi su x condividi su linkedin condividi su whatsapp
ARTICOLI RECENTI
LEGGI ANCHE