Gubbio, Mocaiana, Italia. C’era una volta un ciclista che avrebbe potuto scrivere il proprio nome tra i grandi del Novecento, accanto a Magni, Coppi e Bartali. Il suo nome era Gino Centogambe.
Nato nel 1914 a Mocaiana, una frazione di Gubbio, Gino Centogambe fu uno dei talenti più luminosi del ciclismo dilettantistico italiano negli anni Trenta. In un’epoca d’oro per le due ruote, quando a dominare le cronache erano Gino Bartali, Fausto Coppi e Fiorenzo Magni, anche l’Umbria aveva il suo campione.
La sua vittoria più importante arrivò nel 1935, quando vinse il prestigioso Giro del Casentino, una delle corse dilettantistiche più ambite dell’epoca. "Era una corsa che lanciava carriere", si legge nei giornali sportivi di quegli anni. Nell’albo d’oro figurano giganti: Gino Bartali vinse l’edizione del 1934, Fausto Coppi quella del 1939. Dopo la guerra, nel 1953, a iscrivere il suo nome fu Gastone Nencini. Oggi il Giro del Casentino è una gara riservata agli Under 23 Elite.
Nel 1937, Gino sfiorò il bis. Stava dominando di nuovo il Giro del Casentino, quando fu travolto da uno "spettatore indisciplinato" che gli provocò una lussazione alla spalla. Una caduta che gli costò la gara e forse una carriera diversa. Era già campione umbro dilettanti e, durante una gara a Madonna del Ponte, arrivò al traguardo con oltre 18 minuti di vantaggio sul gruppo.
Poi venne il 1939, e con esso la Seconda Guerra Mondiale. La parabola sportiva di Gino si spezzò. Fu chiamato alle armi e mandato in Libia, dove venne fatto prigioniero dagli Inglesi e trasferito in Sudafrica.
Il suo ritorno a casa ha del leggendario. Il 26 dicembre 1945, Gino tornò a Mocaiana in sella a una bicicletta prestatagli dal rivenditore Fofi di Gubbio, indossando un cappotto logoro. Era così cambiato che neppure il fratello lo riconobbe subito. Ma Gino era tornato.
Non si arrese. Ottenuto un impiego come cantoniere, riprese subito a correre. Sua moglie, Anita Piattelli, capo stazione e sarta, sostenne con determinazione la famiglia e i figli.
Corse per il Veloci Club Perugino, per la Forza e Coraggio Macao di Roma, e infine per il Veloci Club Gubbio. Continuò a gareggiare fino al 1950, quando, a 36 anni, si ritirò dalle competizioni.
Ma non abbandonò mai la bicicletta. Fino alla morte, nel 2002, fu il suo mezzo di trasporto quotidiano.
I figli raccontano episodi commoventi. "Una notte tornò da una gara a Spoleto facendosi luce con una piletta, tutto da solo, in bicicletta fino a Gubbio".
Usò bici Augusta, Atala e Ganna, oggi custodite a Mocaiana, insieme alle magliette di lana delle squadre e alle scarpette da ciclista. Una memoria familiare fatta di stoffa, metallo e sudore.
Centogambe avrebbe potuto diventare un nome scritto in grande nella storia del ciclismo italiano. Ma la guerra spazzò via sogni, ambizioni, podi possibili. Oggi restano le cronache ingiallite, i cimeli, i racconti dei figli, ormai settantenni.
E resta una possibilità: quella di rendere omaggio pubblico e duraturo a questo atleta.
Alla vigilia della nona tappa del Giro d’Italia 2025, in partenza da Gubbio, la città potrebbe tributargli un riconoscimento simbolico: un’esposizione, un cippo, una targa. Qualcosa che restituisca al pubblico il ricordo di un uomo che sfidò Coppi e Bartali — e che, se non fosse stato per la guerra, sarebbe forse entrato nella leggenda.
Il suo nome era tutto un programma: Centogambe. Non solo per la potenza atletica, ma per il suo modo di correre: deciso, leggero, apparentemente instancabile.
"Gino Centogambe è stato uno dei ciclisti italiani di maggior talento negli anni in cui a dominare la scena nazionale erano Magni, Coppi e Bartali", scrive Cronaca Eugubina, che ha ricostruito con cura la sua storia.
Ora quella storia chiede di essere raccontata di nuovo, ad alta voce. Tra le curve di Mocaiana, tra le salite del Casentino, tra i fili delle divise conservate, tra le gomme ancora gonfie delle bici d’epoca.
Gubbio, oggi più che mai, ha la possibilità di riportare alla luce un campione che non ha mai smesso di pedalare. Nemmeno nella memoria.