Associare Terni alla scultura può non apparire una connessione immediata. Eppure l’intera città è disseminata di sculture che portano la firma di grandi artisti del Novecento e che possono costituire a pieno titolo un percorso identitario, fra arte e architettura urbana. Ne abbiamo parlato in esclusiva per Tag24 Umbria con un artista di fama, lo scultore Gianpietro Carlesso che da diverso tempo nella Città dell’Acciaio, sembra aver trovato uno spazio privilegiato in cui dedicarsi alla creazione delle sue opere.
Un piccolo miracolo reso possibile grazie alla felice collaborazione con un’azienda del territorio. Stiamo parlando della GB srl che da anni si è specializzata nella produzione di opere in metallo, soprattutto in acciaio corten, al servizio di artisti che poi le espongono in prestigiosi contesti internazionali. Proprio nell’officina ternana di GB abbiamo incontrato Carlesso che, messa in pausa per il tempo necessario la creazione di un nuovo prototipo, ci ha fatto dono di una illuminante e lucida intervista. Abbiamo parlato di scultura e di città, del ruolo dell’artista e di quello dell’industria nell’arte, con particolare riguardo a quella siderurgica con cui Carlesso può vantare un’esperienza significativa.
L’intervista a Gianpietro Carlesso
Partiamo dal principio. Tu sei un artista, quando hai capito che avresti fatto solo lo scultore?
“Quando ero ragazzo non avevo neanche idea di che cosa fosse la scultura. L’ho appresa studiando quando sono andato a Trento dove ho frequentato l’Istituto d’arte. Lì ho conosciuto un professore che di mestiere faceva lo scultore, una persona molto semplice che però aveva una passione e un talento che mi avevano affascinato. Da allora ho deciso di approfondire questa strada e ho proseguito gli studi all’Accademia di Urbino. Già durante la scuola producevo le mie opere e mi sono reso conto che quello per me era una forma di espressione che funzionava, perché si adattava bene al mio carattere e alle mie capacità“.
Per un certo periodo hai lavorato in Germania alle Acciaierie Krupp di Rheinhausen, dove ti hanno aperto le porte. Ormai a Terni capiti abbastanza spesso e anche qui abbiamo un impianto siderurgico che ha scritto la storia della città. Da osservatore esterno e da artista, che cosa vedi in questa città?
“La prima volta che sono venuto a Terni mi è rimasta impressa la grande pressa che c’è di fronte alla stazione. È la scultura più emblematica della città. La chiamo scultura perché cambiando contesto, lo è diventata. Adesso che frequento Terni più spesso mi rendo conto che è una città che lavora, che produce e ha tanta energia. Per me attingere, anche spiritualmente, a quest’energia è fondamentale perché mi dà stimoli per fare altre cose, per tornare, lanciare sfide e raccoglierle. È emozionante“.
Adesso che frequento Terni più spesso mi rendo conto che è una città che lavora, che produce e ha tanta energia.
Il binomio Terni-scultura: un’energia produttiva da valorizzare
Terni forse ha bisogno di riscoprirsi.
“Terni è sempre stata una città che ha prodotto scultura, basta vedere quante ce ne sono in giro da Mastroianni a Mattiacci a Staccioli (Bolli è stato l’ultimo assistente dello scultore Mauro Staccioli ndr) ho la coscienza di non essere il primo e probabilmente neanche l’ultimo. Esiste questo dialogo fra la città, l’arte e gli artisti: c’è sempre stato. Forse magari un po’ in sordina, prenderne coscienza potrebbe essere utile per aumentare le potenzialità della città che, dal mio punto di vista, è già molto viva. Capisco che per chi vive Terni nel quotidiano sia diverso.
Girando per la città mi rendo conto che le sculture sono punti di riferimento: non mi perdo. La città è predisposta a questi sbalzi, la stessa passerella che c’è dietro alla stazione è un esperimento coraggioso. È un modo per percepire e ‘travasare’ le grandi energie produttive, delle acciaierie e di tutto l’ambiente industriale. È un aspetto che ho avuto modo di osservare anche in altre città europee dove c’è un polo siderurgico“.
Questo punto di vista mi incuriosisce.
“Nella mia esperienza tedesca al riguardo, ho visto come l’arte abbia sempre attinto dalle produzioni industriali, in particolare con il Wilhelm Lehmbruck-Museum di Duisburg. Lo stesso Richard Serra è venuto spesso nella Ruhr a produrre le sue sculture. Le città industriali sono luoghi unici che hanno un’energia fortemente attrattiva per arte e artisti“.
Le città industriali sono luoghi unici che hanno un’energia fortemente attrattiva per arte e artisti.
L’impianto siderurgico quindi si coniuga particolarmente bene con la scultura, come se essa ne fosse uno sbocco naturale in qualche modo.
“Sì, perché in questi impianti si produce materia. L’acciaio è un materiale duttile che si presta alla scultura. Bisogna distinguere fra la scultura in cui si toglie e quella in cui si costruisce, in tedesco esistono due parole diverse per la scultura di sottrazione e quella costruita, che è un concetto plastico. In italiano la scultura è un termine più generico“.
Arte, industria e amministrazione: i tre fattori di una sinergia vincente
Tu in Germania tu hai collaborato con una grande azienda. Secondo te le aziende come possono incontrarsi con gli artisti?
“Per poter far scattare queste sinergie ci vogliono tre poli: l’industria, l’artista e l’amministrazione. La scultura occupa fisicamente degli spazi che hanno senso quando sono pubblici. Fare grandi sculture per privati è molto raro. È importante che ci sia una visione politica in grado di mediare e di operare scelte culturali e qualitative per identificare gli spazi più adatti. Una cosa che Terni nel tempo ha già fatto. Le acciaierie sono qui dalla fine dell’Ottocento e sono più longeve delle amministrazioni. Molto dipende dalla consapevolezza della città nell’apprezzare che la scultura a Terni è manifestazione di energia, di una storia e di un tessuto produttivo. Già facendo un tour delle sculture della città si può capire.
L’altra cosa che non va dimenticata è la ricaduta che un certo tipo di creatività porta indietro al sistema produttivo. Nella dimensione di noi artisti c’è sempre un dare e un avere. Un artista porta con sé soprattutto la propria ricerca che quando entra in contatto con l’artigiano, diventa esperienza comune: il nodo vero è lì. Perché spesso quando hai un’idea e poi entri in un’officina dove sono abituati a un certo tipo di lavoro, non trovi ascolto, sei straniero. Lì capisci quali sono le aziende che sono in grado di trasformarsi e quindi di sopravvivere e quelle che invece, sono fossilizzate solo su un certo tipo di produttività“.
La felice collaborazione di Gianpietro Carlesso con un’azienda ternana
Qui a Terni con Giancarlo Bolli cosa hai trovato che altrove non hai trovato?
“Le premesse date le sue collaborazioni, c’erano tutte. Ognuno di noi ha la sua propria forma mentis e, una volta superata quella diffidenza iniziale, sui fatti ci siamo trovati, parliamo la stessa lingua. Insieme abbiamo identificato lo spazio del possibile. Lui si adatta alle mie esigenze e io penso e progetto opere che vanno bene per le sue potenzialità e per il suo laboratorio“.
A cosa state lavorando in questo momento?
“Adesso siamo in una fase di studio, stiamo lavorando su un prototipo per una grande scultura. Stiamo trasferendo il progetto alla materia in una scala ridotta per capirne le difficoltà tecniche e come riuscire a dominarle. Molto spesso certe forme impongono di uscire da certi schemi e stravolgere una visione“.
A che quota siete arrivati?
“È già la terza scultura che realizziamo qui però con la visione di farne altre. Piano piano cresciamo perché ci interessa il dialogo all’esterno. La funzione dell’arte è comunicare. Una volta risolte le questioni tecniche ci vuole l’esperimento con il pubblico e vedere come reagisce“.
Il danno più grande per l’arte sarebbe l’indifferenza, quello sarebbe un segnale pericoloso.
Quello è imprevedibile.
“Sì, ma necessario. Il danno più grande per l’arte è l’indifferenza. Quello sarebbe un segnale pericoloso anche per le persone ma la critica alla fine è dialogo, confronto“.
Un’ultima domanda. Da te si formano anche studenti e studentesse delle accademie. Che consiglio daresti a un giovane che volesse intraprendere il mestiere di scultore?
“Sì quando posso prendo dei ragazzi in tirocinio, per loro è molto importante capire come confrontarsi e rendersi conto cosa sia il mondo produttivo. Il primo consiglio è di imparare a disegnare perché nonostante gli strumenti delle nuove tecnologie, il disegno, come la lettura, è quella pratica che ti permette di imparare a immaginare e trasferire la tua idea per poterla comunicare. Il disegno è il mezzo per rendere concreti i pensieri astratti, è il primo passo ed è sempre stato così. Da lì, il secondo passo, è capire cosa gli piace, quali sono i loro gusti e attitudini. E seguirle con pazienza. Anche Brancusi sosteneva che la scultura è un procedimento di pazienza“.
Foto realizzate all’interno dell’officina GB di Terni, per gentile concessione di Gianpietro Carlesso.