Una piccola stanza sotterranea, ricavata accanto al parcheggio di un albergo nel cuore di Gerusalemme, con pareti di cemento blindate ma interni spogli, a parte qualche sedia di plastica, funge da bunker per proteggersi dai missili iraniani.
Bombe che non piovono dal nulla: sono il risultato di anni di occupazione, blocchi, espansione illegale dei territori e repressione sistematica nei confronti dei vicini.
È qui che, nella notte tra domenica 15 e lunedì 16 giugno, si è rifugiato Moreno Caporalini, manager perugino impegnato in un progetto di cooperazione internazionale, mentre le sirene d’allarme risuonavano per la città. “Abituarsi alla guerra è veramente complicato”, racconta Caporalini all’indomani di una notte quasi insonne passata in quel rifugio angusto. I muri attorno a lui hanno tremato a ogni boato, facendo percepire in modo tangibile la vicinanza del conflitto e la fragilità di una pace negata troppo a lungo ai popoli della regione.
Quella di Caporalini è stata una notte di paura genuina e di attesa tesa nel rifugio anti-aereo. L’allarme è scattato per ben due volte nel corso della nottata: una prima volta nella serata di domenica, poi di nuovo a distanza di qualche ora. Sul cellulare dei presenti è arrivato un messaggio di allerta “dal suono forte e inquietante”, racconta il manager. Subito dopo, affacciandosi all’esterno, si sono potute vedere in lontananza le scie luminose dei missili solcare il cielo notturno. A quel punto è scattata la sirena d’allarme vera e propria, costringendo tutti a precipitare nel bunker lungo il corridoio sotterraneo dell’hotel. In quello spazio spoglio Caporalini e gli altri ospiti dell’albergo sono rimasti circa 15-20 minuti, senza un chiaro segnale di cessato allarme: si è deciso di uscire solo quando, col passare dei minuti, non si sono più uditi scoppi in superficie.
Gerusalemme dista circa una ventina di chilometri dalle aree di Israele colpite dai missili, eppure il rumore delle esplosioni è stato abbastanza forte da far vibrare le pareti del rifugio. “I muri hanno tremato”, riferisce Caporalini, sottolineando quanto l’atmosfera fosse quella di una guerra vera, percepibile e vicina. Il manager umbro, che si trova in Medio Oriente per conto di Felcos Umbria, una rete di circa trenta comuni umbri dediti a progetti di cooperazione internazionale, sta lavorando tra Nablus e Ramallah a un programma per migliorare la gestione ambientale e dei rifiuti nei territori palestinesi.
L’iniziativa, promossa dall’Unione dei Comuni del Trasimeno e attuata da Felcos, punta a introdurre pratiche di sviluppo sostenibile e sistemi moderni di raccolta differenziata in Palestina. Mai però Caporalini avrebbe immaginato di doversi fermare sotto le bombe, vivendo in prima persona l’esperienza dei cittadini di Gerusalemme costretti a cercare riparo dai missili in arrivo.
In mezzo alla crisi bellica, il lavoro di Caporalini e della rete Felcos assume un valore ancora più forte. I progetti umbri in Palestina rappresentano una forma concreta di diplomazia dei territori, che attraverso l’ambiente e la sostenibilità provano a costruire legami di pace. In queste settimane il manager stava collaborando con le autorità locali su sistemi innovativi di raccolta e smaltimento rifiuti, puntando a rendere più efficienti e meno inquinanti i servizi nei centri urbani palestinesi. La guerra ha congelato tutto: l’aeroporto di Tel Aviv è chiuso e per rientrare in Italia sarebbe necessario raggiungere la Giordania, cosa al momento difficilissima. “Vedremo. Qui si respira un’atmosfera di guerra vera…”, ha concluso Caporalini.
Ma come si è arrivati a questa drammatica escalation? L’attacco iraniano con missili è avvenuto in un contesto di tensioni accumulate da tempo tra Teheran e Tel Aviv. Da anni il governo israeliano considera il regime iraniano la principale minaccia esistenziale, e molti osservatori ritengono che Israele cercasse l’occasione di colpire l’Iran, anche a costo di alimentare il conflitto. “Molti si aspettavano l’attacco all’Iran che è da sempre l’obiettivo reale di Israele. Ormai da due anni si avverte un clima difficilissimo”, aveva osservato lo stesso Caporalini pochi giorni fa.
In effetti, secondo fonti locali, già venerdì scorso la città era rimasta deserta, con la popolazione “attaccata a radio e televisioni perché si aspettavano una reazione dell’Iran” dopo un’azione militare israeliana nei territori. Teheran dal canto suo rivendica le proprie mosse: la leadership iraniana considera le operazioni di Israele un’aggressione e sostiene di aver risposto per legittima difesa preventiva. Il presidente del Parlamento di Teheran, Masoud Pezeshkian, ha dichiarato che l’Iran è pronto a misure “molto più dure” se “l’aggressione (israeliana) continuerà”.