Scoperchiato il vaso di Pandora per un’azienda ternana: la GdF di Terni multa proprietario per lavoro in nero. Quindici lavoratori senza regolare contratto sono stati scoperti dalla GdF di Terni in un’azienda agricola del territorio. Azienda che, oltre alle attività consuete, in questo periodo si occupa anche del confezionamento di articoli da regalo per le festività natalizie. L’operazione è stata coordinata dal comando provinciale delle Fiamme Gialle e rientra in un piano di controlli intensificati volti a contrastare il lavoro sommerso. Una pratica illegale, questa, che compromette i diritti dei lavoratori e la concorrenza leale tra aziende.
Dei 25 dipendenti presenti al momento dell’ispezione, ben 15 risultavano privi di un regolare contratto di lavoro. Questa cifra ha superato la soglia critica del 10% di lavoratori non dichiarati rispetto al totale degli impiegati, portando all’immediata segnalazione dell’azienda agli uffici competenti. Il risultato? Un provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale e una sanzione pecuniaria che supera i 30 mila euro, a carico del datore di lavoro.
Multa della GdF ad azienda di Terni: i numeri del lavoro sommerso nella provincia
L’operazione si inserisce in un contesto di controlli intensificati che, solo quest’anno, hanno portato alla scoperta di 28 lavoratori in nero e 16 irregolari nella provincia di Terni. In totale, 14 datori di lavoro sono stati verbalizzati per l’utilizzo di manodopera non conforme alle norme vigenti.
La Guardia di Finanza considera da sempre il contrasto al lavoro nero, il caporalato e irregolare una delle sue priorità principali. Questo fenomeno non danneggia solo i lavoratori coinvolti, che si ritrovano senza tutele fondamentali come un rapporto d’impiego stabile o la possibilità di contribuire al sistema previdenziale. Ha anche un impatto negativo sull’intero mercato, poiché penalizza e di molto le imprese che rispettano le regole e subiscono una concorrenza sleale.
“La piaga del sommerso da lavoro” – si legge nella nota della GdF – “rappresenta, infatti, una grave forma di illegalità plurioffensiva, poiché danneggia sia le aziende che operano nella legalità sia i lavoratori che si vedono privati delle certezze sulla stabilità del rapporto d’impiego”.
Gli effetti sociali e legali del lavoro irregolare
Lavorare senza un contratto regolare significa per molti lavoratori essere esclusi dalle tutele offerte dal sistema previdenziale e assistenziale. Questo si traduce in una maggiore vulnerabilità economica e sociale, soprattutto per chi è impiegato in settori stagionali come l’agricoltura o la produzione di articoli destinati a particolari periodi dell’anno, come il Natale. Ciò riguarda, ovviamente, anche i lavoratori stagionali dei settori ricettivi e di ristorazione/catering.
Ma le conseguenze non si fermano qui. L’evasione contributiva collegata al lavoro nero rappresenta un danno per l’intero sistema economico, dal momento che sottrae risorse fondamentali al welfare e falsando la concorrenza. Da qui l’importanza di un’azione costante e mirata delle forze dell’ordine, come dimostra l’operazione condotta dalla Guardia di Finanza di Terni.
Il lavoro delle Fiamme Gialle non si limita però solo alla scoperta di irregolarità contrattuali. Il loro impegno è orientato alla tutela dei diritti dei lavoratori e al contrasto di fenomeni di sfruttamento della manodopera, spesso accompagnati da ulteriori reati, come frodi fiscali e violazioni della normativa sulla sicurezza sul lavoro.
Lavoro nero in Umbria: un’economia parallela da quasi 3 miliardi
L’economia sommersa e il lavoro nero continuano a rappresentare una piaga per l’Umbria, con un valore stimato di quasi tre miliardi di euro nel 2021. Secondo i dati elaborati dalla Cgia di Mestre sulla base delle rilevazioni Istat, l’economia non osservata, che include evasione fiscale, lavoro irregolare, affitti in nero e altre attività non dichiarate, è diminuita rispetto al periodo pre-pandemia. Nel 2019, infatti, il sommerso in Umbria toccava i 3,2 miliardi di euro, pari al 15,3% del valore aggiunto regionale. Nel 2021 questa cifra è scesa a 2,9 miliardi, con una riduzione del 9,5%.
Nonostante il calo, però, l’Umbria rimane tra le regioni più colpite in termini relativi. Se si considera l’impatto sul PIL regionale, la regione si colloca al nono posto in Italia, superata solo da territori del Centro-Sud. A livello nazionale il dato peggiore si registra in Calabria: qui il sommerso supera i 6 miliardi, rappresentando oltre il 19% del PIL. La Cgia di Mestre sottolinea come, nonostante i progressi, la strada da percorrere per ridurre l’economia sommersa resti lunga. Tra le possibili soluzioni proposte, spiccano la necessità di un fisco più equo, semplice e meno aggressivo, che possa incentivare la legalità e ridurre l’attrattiva delle pratiche irregolari.