È scattata l’accusa per il titolare di una società romana, accusata di aver messo in piedi un sistema di frode di vendite di auto dall’estero senza pagare l’IVA, accumulando un debito fiscale di circa 900.000 euro. L’indagine, portata avanti dai funzionari antifrode delle dogane di Perugia in collaborazione con la polizia stradale, ha fatto emergere il funzionamento della presunta frode che coinvolge un’autosalone nel Folignate e, a catena, decine di clienti ignari.
Come funzionava la frode: auto di lusso tedesche, finte esenzioni e clienti ingannati
Più di 60 automobili, inclusi modelli di alta gamma e marchi celebri, sono stati acquistati sul mercato tedesco e poi rivenduti in Italia tramite un noto autosalone umbro. Le vendite, pubblicizzate su piattaforme online specializzate nel settore automotive, hanno attratto acquirenti che, senza saperlo, si sono ritrovati protagonisti inconsapevoli di una frode. L’azienda romana, utilizzata come “interposta”, accumulava così il debito fiscale generato dalle immatricolazioni in Italia, giustificando l’esenzione dall’IVA tramite documenti falsi.
Documenti falsificati e dichiarazioni mendaci: il ruolo dei clienti inconsapevoli
Gli acquirenti delle auto, infatti, venivano convinti a firmare dichiarazioni che attestavano un acquisto effettuato direttamente in Germania, assicurandosi un trattamento fiscale di favore che, in realtà, non era applicabile. Le documentazioni presentate agli uffici della motorizzazione, spesso compilate senza la firma autentica dei clienti, sono risultate falsificate, un’operazione scoperta grazie alla collaborazione con le autorità doganali tedesche, che hanno fornito prove decisive per smascherare il meccanismo.
Sanzioni milionarie e l’ombra della frode ripetuta
Per il titolare dell’azienda romana si profilano sanzioni comprese tra 2,1 e 2,3 milioni di euro, una somma che riflette la gravità dell’evasione e delle procedure fraudolente. Non è il primo episodio di questo tipo: già a maggio, una società del Folignate era stata accusata di aver orchestrato una frode simile, vendendo oltre 500 auto con un debito fiscale di 2,5 milioni di euro, coinvolgendo clienti che ignoravano le procedure illegali adottate.
Le auto, anche stavolta, venivano acquistate in Germania e rivendute in Italia tramite un autosalone plurimarche, già in passato oggetto di indagine. Il meccanismo fraudolento prevedeva l’utilizzo di società “cartiere” con sedi fittizie in diverse province italiane, tra cui Roma, Foggia e Vibo Valentia. Queste società emettevano fatture per operazioni inesistenti, permettendo all’azienda umbra di evitare il pagamento dell’IVA dovuta. Le auto venivano immatricolate in Italia utilizzando documentazione commerciale falsa e dichiarazioni mendaci, facendo apparire che l’IVA fosse già stata assolta in Germania.
Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Spoleto, hanno portato alla denuncia di 11 persone, tra cui il titolare della società umbra e i responsabili delle società “cartiere”. Le sanzioni previste per l’evasione accertata possono raggiungere un massimo di 9 milioni di euro.
Il caso simile anche in Toscana lo scorso settembre
Le macchine sono un bottino goloso. Lo scorso settembre, l’inchiesta avviata dalla Procura di Pisa ha rivelato un presunto sistema di truffe e appropriazioni indebite che, per anni, avrebbe ingannato centinaia di clienti. Al centro delle accuse c’è la società Autoelle Group di Nodica (Vecchiano), e il caso potrebbe presto approdare in tribunale. Le autorità hanno denunciato ben 190 persone, molte delle quali, dopo aver pagato per automobili mai ricevute, si sono ritrovate senza mezzi né rimborso. Complessivamente, la frode è stata stimata intorno a 1,4 milioni di euro, mentre la società è accusata anche di bancarotta fraudolenta con un deficit di circa 900.000 euro.
l presunto sistema prevedeva la pubblicazione di annunci allettanti per auto esposte nella sede di Autoelle e sui principali siti di settore. I clienti, attratti da prezzi competitivi, versavano caparre senza mai ricevere i veicoli. Le indagini hanno svelato come le somme depositate dai clienti fossero trasferite su conti controllati dagli imputati, poi utilizzate per spese personali di lusso, tra cui viaggi e accessori. Mucci, interrogata dalle Iene, ha ammesso di aver speso denaro della società in modo sconsiderato, definendosi però solo una “prestanome” di Lucchesi.