Fritto è buono tutto.” Diteci la verità, quante volte avete sentito questa frase? Sebbene possa sembrare una frase scontata, forse è proprio così. La frittura non è solo un metodo di cottura, ma un elemento fondante della tradizione della cucina italiana, con radici millenarie che attraversano l’Italia da nord a sud. Ogni regione ha le sue ricette distintive, un patrimonio gastronomico che riflette storia e cultura. Pensiamo, ad esempio, alla frittata di pasta campana, creata per riutilizzare gli avanzi dei ricchi pranzi domenicali, o al supplì romano e all’arancina palermitana, la cui origine è legata alla dominazione araba della Sicilia. E in Umbria? Quali sono le specialità fritte che celebrano e raccontano la ricchezza di questa terra? Seguiteci in questo viaggio alla scoperta dei più amati cibi fritti dell’Umbria.

L’Arvòltlo

Chiamato arvoltolo a Valfabbrica, berlingozzo a San Giustino, brustengo nella zona di Gubbio e nell’Umbria nord-orientale, brustengolo a Panicale, frittella a Gualdo Tadino e bragaccio o fregnaccia a Giano dell’Umbria, l’arvoltolo è una frittella tipica della tradizione culinaria umbra, con radici profonde che risalgono alle origini contadine della regione. Questo goloso street food è un protagonista indiscusso di numerose feste e sagre, capace di accontentare i palati di tutti grazie alla sua versatilità: può essere preparato in versione salata o dolce.

La preparazione dell’arvoltolo può avvenire in due modi. Il primo prevede la creazione di una pastella a base di acqua e farina, versata a cucchiaiate in olio bollente. In alternativa, è possibile stendere sottilmente delle palline di pasta lievitata e friggerle fino a doratura.

Una volta cotti, gli arvoltoli possono essere cosparsi di zucchero o sale, a seconda dei vostri gusti. Se cercate un suggerimento, provate a servirli come aperitivo, accompagnati da tenere e succulente fette di prosciutto crudo: sarà un abbinamento delizioso e perfetto per sorprendere i vostri ospiti.

Le Frittelle di San Giuseppe

Le frittelle di San Giuseppe sono un dolce semplice e delizioso, tipico dell’Umbria, preparato con riso cotto nel latte. L’impasto può essere arricchito con una varietà di ingredienti, dando vita a diverse versioni di questo classico.

Come suggerisce il nome, queste frittelle vengono tradizionalmente realizzate il 19 marzo, in occasione della Festa del Papà. In passato, però, erano preparate principalmente durante il “Carnevaletto” o “Mezza quaresima”, un momento molto atteso in cui si potevano rompere le restrizioni alimentari legate al periodo quaresimale. In quelle occasioni, le case si riempivano del profumo de “li frittelli”, preparati con semplice pane raffermo bagnato nel latte e fritto nello strutto.

Con il passare degli anni, questa gustosa ricetta ha assunto il ruolo di dolce simbolo della Festa del Papà. Oggi, sebbene lo strutto utilizzato per la frittura sia spesso sostituito con l’olio, le frittelle di San Giuseppe rimangono una tradizione culinaria imperdibile, perfetta per gli amanti dei dolci.

Le Castagnòle di Carnevale

Le castagnòle sono un dolce tipico del periodo carnevalesco, particolarmente diffuse in Umbria e Marche. La ricetta umbra tradizionale prevede la preparazione di una pastella, che viene fritta a cucchiaiate; durante la cottura, questi bocconcini gonfiano, trasformandosi in soffici bignè. Un elemento distintivo di questa variante è l’aggiunta di un goccio di liquore all’anice, che arricchisce l’impasto con un profumo avvolgente e aromatico.

Questi piccoli dolci non sono solo un simbolo del Carnevale, ma rappresentano anche un legame profondo con le feste tradizionali. La loro consistenza soffice e il sapore delicato le rendono irresistibili per chiunque le assaggi. Il nome “castagnòle” deriva dalla loro forma, che ricorda le castagne. Ogni famiglia custodisce gelosamente la propria ricetta, spesso arricchita da varianti locali tramandate di generazione in generazione.

La Cecerata

Concludiamo il nostro viaggio tra le delizie fritte dell’Umbria con una pietanza che racchiude in ogni boccone la magia del periodo carnevalesco umbro: la cecerata.

Conosciuta anche come Cicerchiata, la cecerata presenta affinità con gli struffoli napoletani, tradizionalmente consumati a Natale. È preparata con un impasto semplice a base di farina, uova e olio d’oliva, ma in alcune varianti si utilizzano burro, zucchero, liquore o succo di limone. Dall’impasto si ricavano palline di circa un centimetro di diametro, che vengono fritte in olio d’oliva o strutto. Una volta scolati, questi bocconcini dolci vengono mescolati con miele caldo e disposti a cerchio, creando una struttura solida mentre il miele si raffredda e incolla le palline tra loro.

Simbolo di rigenerazione e ciclicità, la cecerata rappresenta non solo la transizione dall’inverno alla primavera, ma anche il superamento del disordine e il ritorno a un nuovo ordine armonioso. Le sue origini possono essere legate al mito di Demetra e Persefone (o Cerere e Proserpina), a suggerire una connessione con la cicerchia, oppure ad antichi riti associati ai corvi, uccelli del dio Apollo, simbolo di ordine e luce solare.