17 Dec, 2025 - 21:00

Festa dei Ceri versione “fantasy”: quando superficialità e AI producono un danno d’immagine per Gubbio

Festa dei Ceri versione “fantasy”: quando superficialità e AI producono un danno d’immagine per Gubbio

Quando il racconto tradisce la realtà

 

Ci sono articoli che informano, altri che emozionano, altri ancora che raccontano davvero un luogo. Poi ci sono quelli che, ben lungi dal descrivere ciò di cui parlano, finiscono per generare confusione, stereotipi e – nel caso della Festa dei Ceri di Gubbio – un vero e proprio danno d’immagine.

Il testo pubblicato lo scorso 5 ottobre dalla rivista online Cultura e Sapori rientra purtroppo in quest’ultima categoria. Un articolo che vorrebbe essere immersivo, sensoriale, suggestivo, ma che in realtà restituisce una rappresentazione profondamente imprecisa e distorta di una delle tradizioni identitarie più forti d’Italia.

La Festa dei Ceri non è una sagra del vino

La prima, evidente distorsione riguarda il ruolo del vino. Nel racconto, l’alcol sembra essere un elemento costitutivo della Festa: bottiglie ovunque, brindisi continui, taverne rumorose, un clima da baldoria collettiva.

Nulla di più errato.

Chiunque conosca davvero la Festa dei Ceri sa che chi beve non prende il Cero. È una regola non scritta, ma inderogabile. Il Cero non è folklore improvvisato: è disciplina, allenamento, sacrificio fisico, concentrazione assoluta. Ridurre la Festa a un contesto di euforia alcolica significa trasformare un rito di fede e appartenenza in una caricatura da cartolina turistica.

Ed è qui che il racconto, invece di valorizzare Gubbio, inizia a danneggiarla, proiettando all’esterno un’immagine falsa e svilente.

Colori sbagliati, identità confuse

Gli errori non si fermano al tono. Sono anche fattuali e simbolici, dunque ancora più gravi. Nell’articolo si parla, con disarmante leggerezza, di casacche rosse per Sant’Antonio. Un errore che, per un eugubino, equivale a uno sfregio identitario.

I colori dei Ceri sono chiari, codificati, intoccabili:

  • Giallo per Sant’Ubaldo

  • Azzurro per San Giorgio

  • Nero per Sant’Antonio 

Non si tratta di dettagli cromatici: sono appartenenze profonde, tramandate da secoli. Sbagliarle significa dimostrare di non aver compreso – o neppure osservato – la Festa. Ancora una volta, il risultato non è divulgazione, ma banalizzazione.

L’AI come moltiplicatore di ignoranza

Il punto più critico, e paradossalmente più grottesco, è l’immagine generata dall’intelligenza artificiale a corredo dell’articolo. Qui il racconto smette definitivamente di parlare dei Ceri e scivola nel fantasy involontario.

I tre Ceri appaiono:

  • deformati nella struttura

  • sproporzionati nelle dimensioni

  • sormontati da statue errate

  • accompagnati da ceraioli vestiti tutti di giallo

Sembra più una scena di un videogioco medievale piuttosto che la Festa dei Ceri. L’AI, priva di conoscenza culturale, non corregge gli errori: li amplifica. E l’uso acritico di questo strumento diventa un moltiplicatore di imprecisioni.

Viene da chiedersi: era davvero necessario usare un’immagine generata artificialmente?
Quando esistono migliaia di fotografie autentiche, quando persino il logo della Regione Umbria raffigura correttamente i tre Ceri, la scelta dell’AI appare non solo pigra, ma dannosa.

Piazza Grande trasformata in un set irreale

Il danno d’immagine raggiunge il culmine con la rappresentazione di Piazza Grande, completamente snaturata. Nell’immagine AI diventa una piazza generica, circondata da torri inesistenti, con prospettive impossibili e una improbabile via dei Consoli in salita.

Chiunque conosca Gubbio sa che Piazza Grande è:

  • una piazza pensile

  • aperta sulla valle

  • uno degli spazi urbani più riconoscibili d’Italia

Stravolgerla significa cancellare l’identità urbana della città, sostituendola con uno stereotipo medievale buono per qualsiasi borgo immaginario.

Dal racconto al danno d’immagine

A questo punto è necessario dirlo chiaramente: l’articolo di “Cultura e Sapori” non descrive la Festa dei Ceri.

Non la spiega, non la rispetta, non la restituisce nella sua verità storica e simbolica. Al contrario, produce un danno d’immagine, perché diffonde all’esterno una rappresentazione errata e superficiale di Gubbio e della sua tradizione più profonda.

Il lettore che non conosce i Ceri non viene informato: viene disinformato. E quello che resta è l’idea di una festa caotica, alcolica, confusa, quasi caricaturale. Esattamente l’opposto di ciò che la Festa dei Ceri è.

Forse l’autore non c’era. O forse sì, ma distratto

Di fronte a una tale sequenza di errori, le ipotesi sono due:

  1. L’autore non ha mai assistito davvero alla Festa dei Ceri

  2. C’era, ma con uno sguardo distratto, forse offuscato

In entrambi i casi, il risultato è un testo che parla di Gubbio senza parlare con Gubbio. Senza ascoltarla, senza comprenderla, senza rispettarla.

Raccontare una tradizione è una responsabilità

La Festa dei Ceri non ha bisogno di essere romanzata, reinventata o “abbellita” con l’intelligenza artificiale. Ha bisogno di essere conosciuta, studiata, osservata dal vivo.

Raccontarla male non è neutro: significa alterarne il senso, indebolirne il valore, ferire l’immagine di una comunità che in quella Festa riconosce se stessa.

Se si vuole davvero fare cultura e sapori, occorre partire da un presupposto semplice: la realtà, quando è autentica, è sempre più forte di qualsiasi fantasia.

Il resto è solo deficienza artificiale.

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Mario Farneti
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