A poche ore dall’elezione, Papa Leone XIV ha celebrato la sua prima Messa nella Cappella Sistina, davanti al Collegio cardinalizio. Un gesto denso di simbolismo, compiuto nel luogo stesso dove era stato eletto Successore di Pietro meno di ventiquattr’ore prima. Ma non è stato solo un atto rituale: l’omelia pronunciata dal Pontefice è risuonata con una forza teologica rara, riportando al centro del discorso ecclesiale la verità fondativa del cristianesimo: la divinità di Cristo.
Il teologo eugubino Luigi Girlanda, in un articolo pubblicato oggi sul quotidiano digitale Vivo Gubbio, ha voluto commentare con attenzione e spirito critico le parole del nuovo Papa. Le sue riflessioni aiutano a comprendere la portata e le implicazioni di un discorso che si annuncia già come linea guida del pontificato.
“Non sono le categorie politiche o culturali a definire il Successore di Pietro, ma la sua fedeltà alla Verità rivelata”, scrive Girlanda, sottolineando il taglio netto e radicale impresso da Leone XIV al proprio ministero fin dall’inizio.
La professione di Pietro al centro dell’omelia
Il cuore dell’omelia è stato il passo evangelico di Matteo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16), la professione di fede di Simon Pietro che fonda la missione della Chiesa. Leone XIV ha scelto di partire da qui, ribadendo senza mediazioni che Gesù Cristo non è soltanto un maestro morale o un esempio di umanità, ma il Figlio di Dio incarnato, unico Salvatore del mondo.
“Cristo non è un simbolo, né un’ispirazione. È il Vivente, il Figlio del Padre. Su questa fede si fonda la Chiesa. E chi la guida non può che proclamarla”, ha affermato con decisione il Pontefice, secondo quanto riportato da Girlanda.
Il riferimento alla domanda di Gesù ai discepoli – “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” – ha fatto da contrappunto drammatico a questa affermazione. Leone XIV ha denunciato l’atteggiamento riduttivo e secolarizzato di molti, anche tra i battezzati, che trasformano Cristo in un semplice “leader etico”, negandone la divinità nella prassi, se non nelle parole.
Un grido contro l’ateismo pratico
Il Pontefice ha definito questa deriva come una forma sottile ma diffusa di “ateismo pratico”, un’eresia silenziosa che, pur non negando formalmente Dio, svuota il cristianesimo del suo contenuto più profondo: la realtà del Verbo incarnato. Una denuncia che ha colpito per la sua chiarezza e forza teologica, e che Luigi Girlanda ha messo in evidenza come una svolta necessaria nel panorama odierno.
“Mentre il sistema mediatico si affanna a incasellare il nuovo Papa tra progressisti o tradizionalisti, tra trumpiani o antitrumpiani, Leone XIV ha scelto un’altra via: proclamare la Verità eterna e irriducibile del Vangelo”, scrive il teologo eugubino. “Non c’è strategia, non c’è calcolo. Solo l’annuncio della divinità di Cristo. Ed è proprio questo che oggi sorprende”.
La Chiesa, arca e faro nel buio del mondo
Il messaggio del nuovo Papa non si è limitato a una proclamazione dottrinale. Leone XIV ha voluto indicare la Chiesa stessa come “arca di salvezza” e “faro nelle notti del mondo”, parafrasando l’Apocalisse: “Una città posta sul monte” (Ap 21,10). Non è la struttura ecclesiastica, non è il prestigio dei suoi palazzi a salvare, ma la fedeltà alla Rivelazione.
“La Chiesa non può vivere di compromessi o di neutralità. Deve ardere di luce, non per se stessa, ma perché riflette il volto di Cristo”, ha dichiarato Leone XIV.
Queste parole, risuonate sotto gli affreschi di Michelangelo, hanno generato entusiasmo tra molti fedeli, ma anche interrogativi non trascurabili.
Luigi Girlanda, pur apprezzando la chiarezza teologica dell’omelia, non nasconde alcune zone d’ombra. In particolare, il ricorso al linguaggio della sinodalità, all’idea di “costruire ponti”, all’inclusività come metodo ecclesiale, viene visto con sospetto.
“Accanto a parole di straordinaria chiarezza dottrinale – osserva Girlanda – restano espressioni che richiamano il lessico di un certo modernismo post-conciliare. Il rischio è che l’impalcatura teologica si perda, col tempo, nella vaghezza di formule accomodanti”.
Il timore è che il Pontefice possa cedere alle pressioni di quanti, dentro e fuori la Chiesa, spingono per una riforma che smarrisca i capisaldi della fede cattolica, privilegiando l’accessibilità a scapito della verità.
Un papato che scompare perché appaia Cristo
La conclusione dell’omelia ha colpito profondamente per il suo tono spirituale e ascetico. Leone XIV ha citato Sant’Ignazio di Antiochia, padre della Chiesa martire, con una frase che ha sintetizzato la visione del suo pontificato: “Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccoli perché Lui sia conosciuto e glorificato”.
Luigi Girlanda ne sottolinea il valore controcorrente: “In tempi di personalizzazione esasperata, di leadership carismatiche e di papolatria diffusa, sentire un Papa che invoca il proprio ‘sparire’ è un atto dirompente. Il vero pontefice non impone il proprio stile, ma si piega a quello ricevuto”.
Girlanda dedica parte dell’articolo anche a un’importante riflessione sul linguaggio simbolico del papato. Dalle vesti alla ritualità, ogni dettaglio ha un significato preciso, non estetico ma teologico e sacramentale. Il papato non è un ruolo da interpretare secondo il gusto personale, ma un’eredità da servire con umiltà.
“Leone XIV ha indossato la mozzetta e la stola tradizionale, ha scelto un nome antico, ha parlato dalla Sistina come Pietro tra gli apostoli. Sono gesti che comunicano più di mille discorsi. Il Successore di Pietro riceve un compito: non si auto-determina”, sottolinea il teologo.
In questo contesto, la vera umiltà non consiste nel sottrarre, ma nel assumere integralmente il peso del simbolo e del mandato ricevuto.
L’articolo si chiude con un interrogativo carico di tensione ecclesiale e storica: riuscirà Leone XIV a mantenere questa fedeltà teologica nel corso del suo pontificato? O finirà, come altri prima di lui, per lasciarsi trascinare dalle logiche mediatiche e dalle pressioni dell’opinione pubblica?
“La speranza è accesa. Ma perché non sia solo una fiammella passeggera, occorre vigilanza, coraggio, e soprattutto una chiara coscienza del proprio ruolo. Il Papa non può piacere a tutti. Ma può – e deve – essere fedele a Cristo”.
Una prima parola che è già giudizio
Con questa prima omelia, Leone XIV ha fatto una scelta netta: parlare della divinità di Cristo come fondamento della missione della Chiesa. In un mondo che frammenta, relativizza, semplifica, le sue parole sono risuonate come un giudizio e una proposta. Giudizio sul mondo, proposta alla Chiesa.
Luigi Girlanda, con l’acume del teologo e la lucidità del credente, invita tutti a non lasciar passare inosservato questo primo segnale. Perché il pontificato – come la vita cristiana – si misura non sul consenso, ma sulla fedeltà. E su questo cammino, Gubbio e il mondo intero sono già chiamati a camminare insieme.