Il Ministero dell’Interno ha messo sul tavolo una proposta che potrebbe cambiare le carte in tavola per le elezioni regionali di Umbria, Emilia-Romagna e Liguria. Fonti interne parlano di un’apertura decisa all’idea di un election day, ma con una precisazione che suona quasi come un avvertimento: il via libera spetta solo alle regioni.
Serve infatti un accordo tra le amministrazioni locali, le quali devono muoversi nel rispetto delle proprie competenze, e questa non sarà una trattativa semplice. Nelle prossime settimane si attendono sviluppi concreti, con incontri tra i vertici regionali e il ministero. Il Viminale vuole fare presto, ma non può decidere da solo.
Election day in Umbria e votazioni in bilico: le date in gioco
Il calendario elettorale nelle tre regioni non è certo univoco. L’Emilia-Romagna ha già puntato sul 17 e 18 novembre, mentre la Liguria si prepara a portare gli elettori alle urne il 27 e 28 ottobre. E in Umbria? Il quadro è ancora incerto. Si vocifera di novembre, ma non si escludono date come l’1 e 2 dicembre. La scelta, però, non sarà solo tecnica: i giochi politici dietro le quinte pesano più di ogni altra cosa. Il centrodestra, sempre attento ai numeri e alle proiezioni, teme che un election day possa consegnare ai rivali del centrosinistra un’occasione irripetibile per guadagnare terreno. Un risultato negativo in una delle regioni potrebbe rivelarsi un boomerang per gli equilibri politici locali e nazionali.
Nel mezzo di queste trattative, si alza forte la voce di Moreno Pasquinelli, candidato del Fronte del Dissenso in Umbria. Le sue parole non lasciano spazio a interpretazioni. Definisce “inammissibile” che la decisione sulla data delle elezioni venga presa a Roma, lontano dai cittadini umbri. Con una richiesta che sa di sfida aperta, Pasquinelli ha proposto alla governatrice Tesei di convocare subito un tavolo di confronto con tutti i candidati.
L’obiettivo? Stabilire una data che non favorisca solo i più potenti. E Pasquinelli non risparmia critiche al centrodestra, che, secondo lui, vedrebbe di buon occhio un intervento del governo nazionale per semplificare il quadro con un’unica data elettorale. Ma perché – si chiede retoricamente – dovrebbe esserci un election day per delle regionali? La sua posizione è chiara: l’accorpamento è sensato solo quando si sovrappongono elezioni politiche, amministrative o referendum. Ma questa volta, le condizioni non ci sono.
Di cosa si tratta: risparmio o trappola?
l Viminale spinge sull’acceleratore dell’Election Day, una pratica che accorpa elezioni diverse in un’unica data. L’idea suona bene, almeno sulla carta: un solo giorno (o al massimo due) in cui gli italiani dovranno decidere il futuro di Regioni, Comuni e magari anche di qualche referendum. Risparmio economico, logistica semplificata e affluenza potenziata, giusto? Ma le cose non sono mai così semplici come sembrano.
Certo, con un election day si risparmia, e parecchio. Per esempio, organizzare una tornata elettorale unica per le regionali in Umbria, Emilia-Romagna e Liguria consentirebbe di tagliare spese amministrative non indifferenti: meno seggi da allestire, meno personale da impiegare, meno burocrazia da gestire. Ma dietro l’apparente efficienza, qualcuno vede una trappola politica. L’accorpamento delle elezioni in diverse regioni potrebbe infatti trasformare una singola consultazione in una questione di “tutto o niente”, con ripercussioni nazionali pericolose per alcuni partiti.
La questione è semplice: chi ha più da perdere? Un election day rende impossibile scindere i risultati regionali e potrebbe spingere i cittadini a votare seguendo l’onda del momento, magari influenzati dai primi esiti pubblicati. Una vittoria schiacciante in Emilia-Romagna, ad esempio, potrebbe galvanizzare l’elettorato del centrosinistra anche in Liguria, con effetti a catena imprevedibili. Ma chi è in bilico teme che un risultato negativo in una regione possa travolgere tutto il resto, come un castello di carte.
Il candidato del Fronte del Dissenso, Moreno Pasquinelli, ha già espresso chiaramente il suo disappunto, denunciando come un accorpamento delle elezioni possa avvantaggiare “i più forti”. Ha persino richiesto una data condivisa, e non “imposta da Roma”. Dietro queste parole si nasconde la paura che l’election day possa favorire strategie centraliste, ignorando le specificità locali.