Il fenomeno della violenza domestica e il divieto di avvicinamento imposto dalle autorità sono temi centrali nella tutela delle vittime, in particolare delle donne, da partner violenti o aggressivi. L’episodio di Bettona (PG) del 1° novembre è un esempio delle problematiche che si presentano nell’applicazione di queste misure cautelari. I Carabinieri hanno infatti denunciato un uomo e una donna per la violazione del divieto di avvicinamento. L’uomo, già noto alle autorità per atti di violenza nei confronti della fidanzata, era sottoposto a tale misura cautelare in attesa del braccialetto elettronico, ma nonostante questo i due avevano continuato a frequentarsi e, durante un incontro, sono stati sorpresi dai carabinieri mentre discutevano animatamente.
Il divieto di avvicinamento rappresenta una risposta importante alla problematica della violenza di genere, garantendo un minimo livello di protezione per le vittime. Tuttavia, come dimostra il caso di Bettona, il divieto non sempre riesce a impedire i contatti tra le parti, soprattutto quando la dinamica di coppia è caratterizzata da una relazione tossica e dalla co-dipendenza emotiva. Le vittime, spesso emotivamente legate al partner, possono continuare a cercarlo, mettendo a rischio la propria sicurezza.
Il solo divieto di avvicinamento non è sufficiente a tutelare vittime di violenza domestica
La misura si rivela così una protezione parziale e temporanea, che non sempre è sufficiente a prevenire la reiterazione della violenza. In molti casi, come nel presente episodio, anche la vittima può essere spinta a violare il divieto, sia per la difficoltà di rompere la relazione sia per la mancanza di un supporto psicologico adeguato.
Nel caso specifico, l’uomo era già stato arrestato in flagranza di reato per violenza nei confronti della fidanzata, e successivamente gli era stato imposto il divieto di avvicinamento. L’episodio non era un caso isolato, poiché la relazione era caratterizzata da un continuo abuso e prevaricazione da parte dell’uomo. Ciononostante, i due avevano continuato a sentirsi e, in diverse occasioni, si erano incontrati. I carabinieri hanno notato la presenza della coppia durante un servizio di controllo del territorio e hanno sorpreso i due mentre discutevano nell’auto della donna.
Quest’ultima, nonostante fosse consapevole del provvedimento cautelare, aveva guidato fino al comune di Bettona proprio per incontrare il partner. Questo evento ha evidenziato la complessità delle dinamiche di coppia nelle relazioni violente, dove il legame emotivo può portare la vittima stessa a mettere in pericolo la propria sicurezza e a violare le disposizioni legali.
La violazione del divieto di avvicinamento pone diverse problematiche per le autorità, soprattutto quando il comportamento della vittima complica la gestione della misura cautelare. In casi simili, le forze dell’ordine devono intervenire non solo per far rispettare il provvedimento, ma anche per tentare di garantire la protezione della persona offesa.
Necessaria assistenza psicologica e sociale, oltre al braccialetto elettronico
Per garantire un’efficace applicazione del divieto di avvicinamento, è fondamentale che le vittime di violenza domestica ricevano un’assistenza psicologica e sociale che le aiuti a superare il trauma e a prendere consapevolezza dei rischi.
Nel caso di Bettona, l’uomo avrebbe dovuto essere dotato di un braccialetto elettronico, ma l’installazione del dispositivo era ancora in attesa. Il braccialetto elettronico rappresenta uno strumento importante per monitorare i movimenti di persone soggette a restrizioni e per prevenire possibili violazioni del divieto. Tuttavia, l’iter per l’installazione è spesso lungo e richiede la disponibilità di dispositivi, che non sempre sono sufficienti per coprire tutte le richieste.
Il braccialetto elettronico funziona come una sorta di “guardiano virtuale”: se l’individuo si avvicina alla vittima o viola i limiti imposti dal tribunale, scatta un allarme che avvisa le autorità. Ciò consente un intervento immediato e potrebbe evitare episodi di violenza. In Italia, l’utilizzo di questo dispositivo è ancora limitato, ma vi è una crescente consapevolezza della sua importanza come strumento di prevenzione della violenza domestica.
Oltre al divieto di avvicinamento e al braccialetto elettronico, essenziale adottare programmi di riabilitazione per i responsabili di violenza domestica. Alcuni paesi europei prevedono programmi obbligatori di supporto psicologico e di gestione della rabbia per gli aggressori, in modo da prevenire il ripetersi di comportamenti violenti.
Anche in Italia, esistono progetti di recupero per aggressori ma si tratta ancora di iniziative limitate e non sistematiche. Questi programmi potrebbero essere resi obbligatori per chiunque venga sottoposto a una misura cautelare per reati di violenza domestica, contribuendo a ridurre il rischio di recidiva.