Un interruttore molecolare inceppato, una sorta di termostato biologico delle piastrine che smette di autoregolarsi nel momento sbagliato. È qui, nel cuore del sangue, che si annida uno degli enigmi più ostinati del diabete mellito di tipo 2: l’aumento del rischio cardiovascolare. La risposta arriva dall’Università degli Studi di Perugia, dove un team guidato dalla Professoressa Loredana Bury e dal Professor Paolo Gresele ha individuato un meccanismo alterato di autoregolazione delle piastrine, cruciale per spiegare l’iperreattività che favorisce la trombosi nei pazienti diabetici. La scoperta, appena pubblicata su Circulation Research, non si limita a un passo in avanti nella comprensione della malattia: apre scenari terapeutici del tutto nuovi.
Nei soggetti sani, le piastrine - spesso immaginate come semplici “mattoncini” della coagulazione - si rivelano molto più sofisticate. Sono in grado di produrre rapidamente l’enzima Dicer, un regolatore silenzioso ma decisivo: attiva un microRNA che, a sua volta, riduce l’espressione di un recettore chiave dell’attivazione piastrinica. Il risultato? Un circuito virtuoso, un meccanismo di autoregolazione che impedisce alle piastrine di esagerare e di formare coaguli quando non necessario.
Nel diabete di tipo 2, invece, qualcosa si inceppa. La produzione di Dicer si fa debole e transitoria, incapace di sostenere a lungo la catena regolatoria. Meno microRNA, meno freno molecolare, più attivazione piastrinica, più rischio di trombi.
La Prof.ssa Bury, raggiunta telefonicamente, lo riassume così: “È come se il sistema frenante delle piastrine perdesse pressione. Non si rompe all’improvviso, semplicemente smette di essere affidabile”. Un’immagine netta, distante dal gergo accademico, ma che racconta con precisione la portata di un default biologico decisivo.
La ricerca è frutto della collaborazione tra la Sezione di Medicina Interna e Cardiovascolare e la Sezione di Scienze Endocrine e Metaboliche dell’ateneo perugino, in sinergia con la University of Utah School of Medicine di Salt Lake City. Un lavoro di squadra transatlantico che ha unito competenze su microRNA, metabolismo e patofisiologia cardiovascolare.
Per il Prof. Gresele, il valore della scoperta non è solo descrittivo: “Capire dove si inceppa il meccanismo significa iniziare a guardare ai possibili pulsanti da riparare. E ogni pulsante, in biologia, può diventare un bersaglio farmacologico”. Tradotto: non si parla più solo di “spiegare” il problema, ma di aggredirlo farmacologicamente con strategie prima impensabili.
Il diabete di tipo 2 rappresenta una delle principali emergenze di sanità pubblica: milioni di persone convivono con un rischio cardiovascolare che non si spiega solo con glicemia, dieta o stile di vita, ma con meccanismi molecolari invisibili come quello appena svelato. La ricerca aggiunge un tassello fondamentale: l’iperattivazione piastrinica non è un effetto collaterale generico del diabete, ma il risultato di un meccanismo di autoregolazione difettoso e misurabile.
Questo significa che, in prospettiva, non si interverrà solo per ridurre il rischio, ma per ripristinare un equilibrio perduto, puntando su nuovi target terapeutici che agiscano a monte del processo trombotico, non solo sugli effetti.
Il futuro della cardiologia - e della diabetologia - passa da concetti come microRNA, autoregolazione e precisione molecolare, mondi minuscoli che spiegano conseguenze macroscopiche: infarti, ictus, trombosi. Mondi che, da Perugia, ora sono un po’ meno oscuri.
In un’epoca in cui la medicina corre su binari ultra-specialistici, questa scoperta ricorda un principio semplice: a volte non servono motori più potenti, ma freni che funzionano. In questo caso, un freno scritto nel linguaggio della biologia, finalmente decifrato.