19 Jul, 2025 - 10:53

Dall’ipogeo dei Volumni ai capolavori di Orvieto: l’Umbria raccontata attraverso l’arte degli Etruschi

Dall’ipogeo dei Volumni ai capolavori di Orvieto: l’Umbria raccontata attraverso l’arte degli Etruschi

Entrate nel cuore più antico dell’Umbria, là dove il tempo non si è mai davvero fermato. In questa terra gentile e misteriosa, il passato affiora con discrezione, ma parla con voce chiara a chi sa ascoltarlo. E lo fa attraverso l’arte degli Etruschi, civiltà raffinata e sapiente, che ha saputo dare forma all’invisibile, rendendo sacro ogni gesto quotidiano. Immaginate di discendere nei meandri dell’Ipogeo dei Volumni, tra le tombe scolpite nella roccia e i silenzi densi di memoria, dove ogni urna, ogni iscrizione, racconta un frammento d’anima. Poi immaginate di risalire, e lasciarvi abbagliare dall’oro della Cattedrale di Orvieto, testimone luminosa di un dialogo tra culture e secoli, dove le radici etrusche continuano a vibrare sotto la magnificenza medievale.

In Umbria, nulla è mai solo antico: tutto è profondamente vivo. L’eredità etrusca non è relegata alle teche di un museo, ma respira nei paesaggi, nei nomi, nei gesti, nelle forme armoniche che hanno saputo unire arte, religione e quotidianità. Dai corredi funerari di Perugia ai templi perduti di Orvieto, passando per le necropoli immerse nel verde e le collezioni custodite nei piccoli musei locali, ciò che scoprirete non è soltanto un mondo scomparso, ma una visione del vivere che ancora oggi sa emozionare.

Un viaggio che vi invita a rallentare, ad osservare con occhi nuovi, ad ascoltare ciò che le pietre hanno da dire. Perché gli Etruschi non hanno smesso di parlarci: basta tendere l’orecchio del cuore per cogliere le storie scolpite nella luce e nell’ombra, nel tufo e nel travertino, nelle urne e negli affreschi.

L’Umbria vi aspetta. E con lei, una civiltà che ha saputo scrivere la bellezza nel tempo.

Ipogeo dei Volumni di Perugia: sotto la terra, il racconto immortale della gens Volumnia

Provate a chiudere gli occhi e immaginate di varcare la soglia del tempo. Siete appena fuori Perugia, ma ogni passo vi porta lontano, in un altrove sospeso tra il visibile e l'invisibile. Scendendo lungo il dromos, quel corridoio scavato nella terra che pare scolpito nel silenzio, si entra in un mondo sotterraneo dove la pietra parla, e racconta. Siamo all’Ipogeo dei Volumni, uno dei più straordinari esempi di architettura funeraria etrusca: un luogo in cui la memoria non dorme mai.

Qui, l'architettura non è solo funzionale, ma profondamente simbolica. La pianta riproduce quella di una domus romano-italica, quasi a suggerire che la vita, anche dopo la morte, continui a scorrere secondo riti e spazi familiari. L’atrium centrale accoglie il visitatore come fosse l’ingresso di una casa, mentre le camere laterali e il tablinum – il cuore della tomba – custodiscono le urne cinerarie della gens Volumnia. Sette sarcofagi, scolpiti con maestria, raccontano le storie di uomini e donne che hanno vissuto, amato, combattuto, e ora riposano nella pietra, con il volto rivolto all’eternità.

Colpisce la raffinatezza dei dettagli: i defunti sono raffigurati in posa recumbente, adagiati su letti funebri come fossero ancora a un banchetto. Tra questi, spicca Arnth Velimna Aules, con la sua imponente urna in travertino e il volto scolpito con una forza che ancora oggi commuove. Le iscrizioni, spesso bilingui – in etrusco e in latino – testimoniano un’epoca di transizione, mentre le teste di Medusa scolpite tra gli architravi, con la loro funzione apotropaica, sembrano vegliare sul silenzio e proteggere il passaggio verso l’aldilà.

Databile tra il III e il II secolo a.C., l’Ipogeo è molto più di un sepolcro: è un racconto scolpito nel buio, un viaggio nelle profondità dell’identità etrusca. Qui, la morte non è fine, ma trasformazione. Ogni pietra, ogni incisione, ogni dettaglio architettonico ci parla di un popolo che aveva fatto dell’eternità una forma d’arte, e del ricordo un culto sacro.

Necropoli del Crocifisso del Tufo a Orvieto: passeggiando nella città eterna degli Etruschi

Immaginate di camminare tra file ordinate di tombe, immerse nel silenzio assoluto di una vallata che sembra custodire ogni passo come un sussurro del tempo. Siamo ai piedi della rupe di Orvieto, in un luogo dove la pietra parla una lingua antica, e le strade non portano a case vive, ma a dimore eterne. La Necropoli del Crocifisso del Tufo si estende come un quartiere sospeso tra cielo e oltretomba: oltre duecento tombe a dado, disposte lungo un reticolato ortogonale, costruiscono un tessuto urbano destinato ai defunti, con una logica così razionale da evocare la visione di un ordine sacro e senza tempo.

Passeggiando lungo queste vie, si ha la sensazione di attraversare una città silenziosa, dove ogni tomba è una voce, ogni iscrizione un’identità ritrovata. I nomi scolpiti sull’architrave delle sepolture, ancora perfettamente leggibili, raccontano storie di famiglie, di origini miste, di un mondo che dialogava con il Mediterraneo attraverso scambi, matrimoni, commerci. Si scopre così un volto sorprendente dell’Orvieto etrusca: quello di una società aperta, colta, orgogliosa delle proprie radici ma capace di accogliere il nuovo.

E poi ci sono i corredi funerari — vasi greci decorati con maestria, oggetti metallici raffinati, piccoli amuleti di uso quotidiano — che restituiscono l’immagine di un popolo che pensava all’aldilà non come a un distacco definitivo, ma come a un’altra forma di presenza. In queste tombe non c’è solo morte, c’è un’intera visione del mondo, un’idea armonica dell’esistere che unisce la vita terrena e quella ultraterrena in un continuo fluire.

Il Museo Archeologico “Claudio Faina” di Orvieto: Il volto della Venere, la voce degli Etruschi

Basta uscire dal Duomo di Orvieto, lasciarsi alle spalle le guglie gotiche e attraversare la piazza assolata per varcare la soglia di un palazzo ottocentesco che custodisce un mondo sommerso. Il Museo Archeologico “Claudio Faina” non è soltanto una collezione di reperti: è un racconto stratificato, intimo e affascinante, che ci restituisce la voce silenziosa — ma ancora potentissima — degli Etruschi. Voluto dai conti Mauro ed Eugenio Faina e poi donato alla città, il museo sorge in uno dei punti più simbolici di Orvieto, affacciato sulla facciata del Duomo, quasi a voler stringere in un abbraccio ideale arte sacra e memoria ancestrale. Al suo interno, le sale si susseguono come stanze di una grande narrazione, che alterna la vita quotidiana al sacro, il lutto al rito, la bellezza al mistero.

Tra i tesori custoditi, spicca la Venere di Cannicella: una figura femminile scolpita nel tufo, forse una divinità votiva, dal volto enigmatico e arcaico. Intorno a lei, urne funerarie decorate con motivi mitologici, vasi attici a figure nere e rosse, raffinati buccheri e corredi provenienti dalla necropoli del Crocifisso del Tufo raccontano non solo una civiltà raffinata, ma anche profondamente aperta al dialogo con il mondo mediterraneo. Salendo di piano in piano, si ha la sensazione di attraversare le epoche, accompagnati da oggetti che non smettono di interrogarci: un cippo scolpito a testa di guerriero, monete, anfore, oggetti votivi in bronzo e oro.

Il museo stesso diventa così un luogo della memoria viva, dove lo sguardo si posa sul dettaglio e, al tempo stesso, abbraccia il paesaggio: dalle sue finestre si scorge infatti la piazza e, oltre, la rupe di Orvieto, quasi a ricordarci che arte, fede e natura qui hanno sempre camminato insieme.

Visitare il Museo “Claudio Faina” significa fare un’esperienza sensoriale e culturale insieme, dove ogni reperto si trasforma in frammento di identità e ogni sala diventa occasione di ascolto. Gli Etruschi ci parlano ancora — con la loro grazia, la loro inquietudine, il loro saper vivere — e Orvieto continua, con fierezza e silenziosa eleganza, a custodirne la voce.

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Francesco Mastrodicasa
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