È stato un incontro silenzioso ma simbolico, quello avvenuto nei giorni scorsi tra James Al-Fayed e Roberto Menichetti. Due mondi della moda, due sensibilità diverse ma affini, si sono incontrate nella cornice medievale di Gubbio, lontano dalle passerelle di Londra e dai riflettori dell’haute couture.
James Al-Fayed, proprietario della celebre casa di sartoria Turnbull & Asser, fornitore ufficiale di Re Carlo III, ha trascorso alcuni giorni nella cittadina umbra, ospite dello stilista umbro Roberto Menichetti.
Un viaggio privato, certo, ma che ha il sapore dell’incontro tra la tradizione anglosassone più raffinata e la creatività sartoriale italiana. E, sullo sfondo, l’ombra lunga di una tragedia che ha segnato un’epoca: quella notte del 31 agosto 1997 in cui morirono Lady Diana e Dody Al-Fayed, zio indiretto di James.
James Al-Fayed è oggi alla guida di Turnbull & Asser, uno dei nomi più prestigiosi dell’eleganza maschile britannica. Fondata nel 1885 e situata a Jermyn Street, nel cuore di Londra, la boutique ha vestito generazioni di reali, attori e politici. Da Winston Churchill a Sean Connery, fino a Re Carlo III, Turnbull & Asser rappresenta una forma di aristocrazia sartoriale.
"Vestire il Re non è una questione di lusso, ma di continuità" – ha dichiarato James in un’intervista. "La nostra responsabilità è conservare l’identità di una nazione cucita su misura."
Sebbene il suo cognome richiami una delle famiglie più discusse della finanza mediorientale e britannica, James ha costruito la sua reputazione in autonomia, tra rigore sartoriale e imprenditorialità discreta. La sua linea personale combina il classicismo delle camicie su misura con aperture verso una modernità sobria e mai urlata.
Il cognome Al-Fayed richiama subito un evento: la morte tragica di Dodi Al-Fayed, compagno di Lady Diana Spencer, nella galleria del Pont de l’Alma, a Parigi, nella notte del 31 agosto 1997. Un incidente divenuto simbolo della vulnerabilità della famiglia reale, del potere mediatico e della fragilità della fama.
Dody era il figlio di Mohammed Al-Fayed, miliardario egiziano e storico proprietario dei magazzini Harrods a Londra. La famiglia aveva costruito un impero che univa il mondo arabo al cuore della finanza e del jet-set britannico.
James è nipote indiretto di Dody. Suo nonno è il fratello di Mohammed, e lui è l’unico erede diretto del ramo familiare legato alla storica proprietà di Harrods. Pur essendo cresciuto tra capitali e corridoi reali, ha scelto un profilo più sobrio: quello del sarto, dell’artigiano, del custode di uno stile.
"La mia famiglia ha vissuto sotto i riflettori, ma io preferisco la luce delle vetrine artigiane," ha raccontato tempo fa in un profilo sul Financial Times.
L’incidente del 1997 resta uno degli eventi più discussi del XX secolo. Lady Diana e Dodi Al-Fayed stavano lasciando l’Hotel Ritz di Parigi — di proprietà della famiglia Al-Fayed — quando la loro Mercedes si schiantò contro un pilastro del tunnel del Pont de l’Alma durante una fuga dai paparazzi.
Diana morì poco dopo in ospedale. Dodi e l’autista, Henri Paul, morirono sul colpo. Unico sopravvissuto, la guardia del corpo Trevor Rees-Jones.
Le indagini ufficiali esclusero complotti, ma la famiglia Al-Fayed per anni ha sostenuto teorie alternative. Mohammed Al-Fayed, in particolare, parlò apertamente di un complotto orchestrato dai servizi segreti britannici, tesi che però non trovò riscontri ufficiali.
James, all’epoca adolescente, visse quel trauma familiare da lontano. Ma la memoria di quella notte lo ha accompagnato nella costruzione di una carriera basata sul contrario dell’eccesso: il silenzio, la misura, la discrezione.
Ospite di Roberto Menichetti, James ha trovato a Gubbio uno spirito affine. Stilista umbro di fama internazionale, Menichetti ha scritto alcune delle pagine più importanti della moda tra gli anni ’90 e 2000. Dopo gli esordi con Burberry — dove fu direttore creativo e artefice della trasformazione del marchio in un’icona globale — ha lavorato per Cerruti, Fay, Moncler, Jil Sander, e molti altri.
Minimalista raffinato, Menichetti è noto per la sua attenzione maniacale alle forme, alla costruzione del capo, al dialogo tra tessuto e corpo. Nella sua carriera ha spesso rifiutato le luci dei riflettori per concentrarsi su collaborazioni esclusive e capsule collection sartoriali.
"Con James ci siamo trovati sul piano del dettaglio. Due camicie, due mondi, ma lo stesso punto di fuga: l’essenziale", ha detto Menichetti a margine dell’incontro.
L’incontro tra i due stilisti, per quanto informale, ha avuto anche il valore simbolico di un’alleanza tra due tradizioni sartoriali: quella anglosassone, fondata sulla continuità della forma, e quella italiana, nutrita di estro e struttura.
La scelta di Gubbio, con i suoi marmi medievali, le linee gotiche e il silenzio che accompagna le pietre, non è casuale. Per James Al-Fayed è stata una fuga dalla Londra dei cerimoniali, per Menichetti un ritorno alle radici: entrambi cercavano un luogo che fosse tempo sospeso, spazio per il pensiero, non vetrina.
L’incontro tra James Al-Fayed e Roberto Menichetti dimostra che lo stile, quando autentico, è sempre dialogo. Un dialogo tra memoria e innovazione, tra dolore e rinascita, tra dramma e grazia.
James porta con sé l’eredità tragica di una delle famiglie più esposte del Novecento, ma la trasforma in lavoro preciso, in pieghe misurate, in bottoni scelti con cura. Menichetti, dal canto suo, ha sempre rifiutato l’estetica dello spettacolo per cercare l’essenza della forma.
"In fondo, cucire è un atto politico. Tiene insieme ciò che il mondo divide." Così, tra una camicia di Royal Oxford e un soprabito decostruito, l’Umbria e Londra si sono parlate — in silenzio, ma con stile.