“Un colpo d’occhio, un’intuizione, un pizzico di audacia e tanto mestiere: così un disegno quasi ignorato a Londra è diventato un caso internazionale”. È questa, in sintesi, la straordinaria vicenda narrata da Simone Filippetti, giornalista eugubino de Il Sole 24 Ore, in un articolo che sta facendo il giro del web. Il titolo? “Da Londra a Roma, storia di un presunto disegno di Leonardo da Vinci da 650mila euro”. Ma dietro a quei numeri da capogiro si nasconde una storia profondamente italiana, eugubina per l’esattezza, fatta di passione, intuito e un patrimonio di conoscenza tramandato da generazioni.
Corre l’anno 2004. Nella sede – oggi scomparsa – di Christie’s in Old Brompton Road, a South Kensington, Londra, si tiene una delle tante aste della celebre casa britannica. Fra i numerosi lotti, ce n’è uno che passa quasi inosservato: un disegno a inchiostro attribuito alla “bottega di Leonardo da Vinci”. Si tratta, secondo la descrizione ufficiale, di uno “studio preparatorio per il Salvator Mundi”, il dipinto che sarebbe poi divenuto il quadro più costoso della storia.
“Nessuno in sala pare colpito più di tanto”, scrive Filippetti, “ma un italiano, l’antiquario Luigi Minelli, coglie qualcosa. Un dettaglio. Un’intuizione. E rilancia”. Alla fine, si aggiudica l’opera per 5.000 sterline. È un azzardo, ma il suo fiuto gli dice che c’è qualcosa di più in quel foglio antico.
L’anno successivo, nel 2005, il disegno lascia Gubbio e prende la strada di Roma. A portarlo nella Capitale è Giuseppe Colaiacovo, noto imprenditore umbro del settore cementiero e mecenate locale. Durante un pranzo con un influente banchiere, Colaiacovo decide di fargli visitare la bottega di Minelli, l’Antichità Marcelli, fondata nel secondo dopoguerra e divenuta col tempo un punto di riferimento nel mondo antiquario.
Il disegno colpisce subito il banchiere – oggi scomparso –, che lo acquista e lo colloca nella sua residenza romana, dove resterà per quasi vent’anni, quasi dimenticato tra le pareti della finanza italiana. Nessuno, per anni, si sarebbe immaginato che quell’opera, in apparenza secondaria, sarebbe tornata alla ribalta internazionale con un prezzo da capogiro.
È il 29 aprile 2025. La casa d’aste Dorotheum, a Vienna, batte un disegno descritto come “studio del Salvator Mundi”. L’opera viene venduta per 650.000 euro, circa 80 volte il prezzo iniziale. La notizia arriva subito all’attenzione di Matteo Minelli, figlio di Luigi e attuale titolare della storica attività antiquaria.
“Mio padre fu l’unico a intravedere un valore nell’opera”, racconta oggi Matteo. “Quando abbiamo letto della vendita, l’abbiamo riconosciuta subito: era il disegno che avevamo acquistato a Londra vent’anni prima. La nostra bottega non è nuova a questo tipo di scoperte”.
L’opera, priva di un’attribuzione definitiva a Leonardo, ha comunque registrato una performance del +5.000% in vent’anni: un risultato che “nessuna azione, obbligazione o fondo comune d’investimento ha mai ottenuto”, sottolinea Filippetti nel suo articolo.
È un caso raro – lo ammettono tutti gli operatori del settore – perché il mercato dell’arte non garantisce rendimenti costanti e spesso si basa su intuizioni e contingenze imprevedibili. Eppure, è proprio in queste nicchie che alcuni “alternative asset” possono rivelarsi straordinariamente redditizi, a patto di avere occhio, pazienza e coraggio.
Fondata 75 anni fa da Amina Bucchi, l’Antichità Marcelli è molto più di una bottega: è una storia familiare che attraversa il tempo. Amina, autodidatta e piena di passione, cominciò da semplice rigattiera. Un giorno acquistò da una famiglia nobile locale un dipinto per sole 3.000 lire. Non sapeva cosa fosse esattamente, ma lo trovava bello. Un conoscente più esperto ne confermò la qualità, senza però saperlo attribuire.
L’opera restò per anni in negozio. Poi, una coppia milanese la notò e la comprò per 5.000 lire. Un mese dopo, Amina ricevette una lettera con un ritaglio di giornale: “Venduto un prezioso quadro di Caravaggio acquistato da un rigattiere di Gubbio”. L’opera era un San Girolamo penitente del Merisi. La scoperta, clamorosa, rivelava un talento innato per il riconoscimento artistico che si è tramandato fino ai giorni nostri.
La coincidenza non è da poco: due maestri assoluti dell’arte italiana, due scoperte fatte a Gubbio da un’unica famiglia. Certo, nel caso del disegno attribuito a Leonardo si parla ancora di “attribuzione incerta”, ma il suo valore simbolico – e ora anche economico – è fuori discussione.
“Nel nostro mestiere, serve intuizione, ma anche tanto studio”, ricorda ancora Matteo Minelli. “Mio padre ha sempre creduto nel potenziale dell’opera. E questa non è la prima volta che un oggetto apparentemente modesto si rivela, col tempo, un capolavoro nascosto”.
Nel mondo odierno, sempre più investitori si affacciano al mercato dell’arte non solo per passione, ma anche per diversificare il portafoglio. Eppure, come sottolinea l’articolo, casi come quello del disegno attribuito a Leonardo non sono la norma: “L’arte resta un asset illiquido e soggetto a forti oscillazioni, dove i rendimenti sono imprevedibili e strettamente legati alla storia dell’opera e al momento della vendita”.
Tuttavia, proprio per questo, le scoperte straordinarie come quella della famiglia Minelli continuano a incantare: sono vicende umane prima che economiche, in cui il sapere artigianale si unisce alla ricerca, all’amore per il bello e a una profonda conoscenza del passato.
Il disegno battuto a Vienna non è solo un pezzo d’arte: è il simbolo di una storia familiare, culturale e imprenditoriale che ha saputo attraversare il tempo. Da una sala d’asta londinese fino al salotto di un banchiere romano, per poi approdare di nuovo sotto i riflettori, è il viaggio di un’opera e del talento eugubino che l’ha riscoperta.
“Quello che facciamo non è solo commercio”, conclude Matteo, “è un dialogo con la storia, un modo di farla rivivere ogni giorno”.
E forse, in fondo, anche Leonardo – o chi per lui – avrebbe sorriso nel vedere dove è finito quel disegno, e come è stato trattato da mani capaci di riconoscerne l’anima.