In Umbria il potere d'acquisto scende sotto i livelli di guardia: i dati appena pubblicati confermano che nessun'altra regione ha subito un arretramento economico simile. Dal 2019 al 2023, l'inflazione ha eroso ogni progresso nominale nei redditi, lasciando i cittadini con meno soldi in tasca rispetto a cinque anni fa. Il quadro che emerge non riguarda solo numeri, ma il futuro stesso del territorio.
Mentre il Mezzogiorno sorprende con performance in positivo, l'Umbria arranca. Basilicata, Molise, Calabria e Abruzzo hanno registrato crescite reali superiori all'1,5%. Sette regioni hanno almeno recuperato i livelli pre-Covid. L'Umbria, invece, resta ancorata al fondo della classifica.
Il dato più allarmante riguarda gli occupati alle dipendenze: per loro il reddito medio ha subito un taglio netto del 10,7% in cinque anni, contro una media nazionale del -4,5%. Si passa da 25.734 euro del 2019 a 25.454 euro del 2023, con una capacità di spesa decisamente ridimensionata.
Diverso il quadro per i trattamenti previdenziali. In Umbria, i pensionati hanno visto crescere il proprio reddito reale dello 0,9%, una variazione positiva superiore alla media nazionale, ferma al +0,5%. Una parziale compensazione che, tuttavia, non basta a riequilibrare il quadro generale.
Nel dettaglio, anche a livello locale la dinamica non cambia. Perugia registra una crescita nominale dell'11,1%, mentre Terni si ferma al 10,1%. Ma in entrambi i casi l'inflazione annulla ogni guadagno. Il valore medio regionale resta al di sotto della soglia nazionale: 20.600 euro contro 21.800. Meglio solo rispetto a Marche e regioni del Sud.
Nonostante la flessione economica, il report Istat sul Benessere equo e sostenibile restituisce una fotografia più sfumata. Il 46,1% degli indicatori di Perugia e Terni si colloca nelle fasce "alta" e "medio-alta", rispetto al 41,8% della media italiana. Solo il 17,2% è in fascia bassa, contro il 35,6% nazionale.
Il settore dell'istruzione è il punto di forza del territorio: il 44,4% degli indicatori è nelle categorie migliori. Impressionante il tasso di iscrizione universitaria dopo il diploma: 59,8%, oltre dieci punti sopra la media. Anche la partecipazione democratica è elevata: alle europee del 2024 ha votato il 60,8% degli aventi diritto.
Le criticità emergono invece nel comparto tecnologico e della ricerca. Solo il 37,5% degli indicatori relativi a questi ambiti si colloca in fascia alta. Il numero di domande di brevetto resta basso: 53,6 ogni milione di residenti, contro una media italiana di 102,9. La provincia di Terni tocca un minimo di 21, mentre Perugia arriva a 64,8.
La regione può contare su un tessuto culturale rilevante: 156 siti culturali attivi, pari al 3,5% del totale nazionale. Le biblioteche sono 119, distribuite in oltre due terzi dei comuni. Sul fronte dei servizi digitali per le famiglie, l'Umbria si distingue: il 61% dei comuni ha attivato almeno una prestazione online, superando la media italiana del 53,6%.
"Il bilancio - sottolinea la Camera di commercio - è agrodolce. L'Umbria ha subito più di altre regioni gli effetti dell'inflazione e della stagnazione post-Covid, specialmente per quanto riguarda il lavoro dipendente. Ma resta una regione dove la qualità della vita, la coesione sociale, l'accesso alla cultura e ai servizi regge, e in alcuni casi supera la media nazionale. Per invertire la rotta serve puntare su innovazione, giovani, capitale umano. Le fondamenta ci sono, ma il tempo stringe. E il benessere, da solo, non paga le bollette".
Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di commercio dell'Umbria, invita a non ignorare il messaggio lanciato dai numeri. Il rischio è che l'attuale regressione economica si stabilizzi, compromettendo la capacità della regione di attrarre talenti e investimenti. "Non possiamo accontentarci di una qualità della vita che resiste mentre l'economia arretra. Il benessere sociale è un patrimonio prezioso, ma da solo non basta: occorre rilanciare l'Umbria come territorio attrattivo, competitivo e capace di trattenere i giovani".
Per affrontare il declino, Mencaroni propone un piano di rilancio centrato su tre assi: investimenti in tecnologie, percorsi formativi aggiornati e supporto concreto alle imprese. È necessaria una strategia unitaria che coinvolga enti pubblici, università e sistema produttivo. Solo così si potrà costruire un ecosistema in grado di generare occupazione di qualità e ricchezza duratura. "Serve uno shock positivo: infrastrutture materiali e immateriali, digitalizzazione e filiere innovative. Servono scelte coraggiose", conclude Mencaroni.